«Ogni anno l’Equal Pay Day (in inglese, il giorno della giusta paga) è determinato sul calendario dalla differenza dei giorni in più che servono a una lavoratrice per riuscire a guadagnare tanto quanto un suo collega uomo nell’anno precedente – spiega Rosamaria Papaleo, componente della segreteria Cisl Emilia Centrale – Anno dopo anno, la data si è spostata sempre più avanti sul calendario, finendo a essere celebrata in primavera avanzata».

Quest’anno il focus dell’Equal Pay Day è dedicato al divario pensionistico (pension gap) tra donne e uomini. Il dato medio su scala nazionale è intorno al 37,1 per cento (in Francia è il 33 per cento, in Spagna il 35, in Portogallo il 29,9. «Il divario pensionistico è la punta di un iceberg fatto di trattamenti economici sfavorevoli che accompagnano le donne italiane lungo tutto il cammino lavorativo – sottolinea Papaleo – Eppure la disparità di trattamento economico non potrebbe né dovrebbe esistere, come sancito dall’articolo 37 della Costituzione: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”».

«È proprio la “parità di lavoro” che necessita di sorveglianza e monitoraggio – aggiunge Simonetta Sambiase, responsabile del coordinamento donne della Cisl Emilia Centrale –
In primis, quando essa viene inficiata dalle scappatoie funzionali delle disparità di livelli contrattuali, dai premi di produzioni dispensati senza contrattazione collettiva e dai premi “ad personam” che possono differenziare non poco la quantità e qualità salariale tra lavoratori e lavoratrici. Quanti sono ancora i premi di produzione, di obiettivo, di risultato, che premiano la presenza, cioè la quantità numerica al posto della qualità produttiva del lavoro? Basti pensare a come la maternità venga contata “in sottrazione” nei luoghi di lavoro. Altro uso diffuso di “normalità sociale”, soprattutto per alcune tipologie di lavoro in cui la conciliazione dei tempi vita e lavoro è negata da miopi politiche datoriali, è il ricorso al part-time. Il part time è la norma principe non scritta delle donne dopo l’arrivo di un figlio, dopo la presa in carico di cura familiare che va a sopperire alle mancanze di welfare sociale. Altre disparità di genere incidono sfavorevolmente sul tessuto carrieristico ed economico del percorso lavorativo per approdare, alle soglie della pensione, alla deriva economica».

Per le due sindacaliste Cisl la carriera, intesa come percorso meritocratico giustamente retribuito, è il luogo di un’altra sottrazione, che viene indicata sotto l’analogia del “soffitto di cristallo”. L’ascensione in verticale della carriera fino ai suoi vertici, con conseguente ed equa retribuzione contributiva, si dimostra un’utopia, un gap tutto al femminile.

«L’azione positiva di maggior incisione sul fenomeno è stata la legge Golfo-Mosca per l’equilibrio del genere, applicata in quei lavori in cui lo Stato fa da committente, ma ricordiamo che la norma citata ha un effetto scadenzato e che la data del 2023 non è così lontana nel tempo – osservano Papaleo e Sambiase – Per allora ci si augura che il cambiamento culturale in ottica di genere possa essere stato completato nel nostro Paese. Il coordinamento donne della Cisl Emilia Centrale, oltre che sensibilizzare sul problema, è impegnato da tempo per introdurre il salario minimo legale che, da non confondersi col reddito di cittadinanza, è una paga oraria o mensile sotto la quale non si può scendere. Inoltre – concludono Rosamaria Papaleo e Simonetta Sambiase – ci battiamo per il welfare alle famiglie e alla genitorialità».

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