“Ci sono tanti diritti nella comunità, però, a leggere delle polemiche sull’urbanistica, sembra che ci siano diritti di serie A e diritti di serie B. E questi ultimi pare che siano riservati alle imprese del settori costruzioni, il male assoluto: distruttori di suolo e di verde, corruttori, complottisti, e chi più ne ha, più ne metta”. Alberto Papotti, segretario provinciale della CNA di Modena, interviene sui temi urbanistici, in occasione delle riunioni che si stanno tenendo in città sul ripensamento urbano dei 38 rioni modenesi.

In particolare, CNA si sofferma sui diritti economici delle imprese, partendo dal calcolo dei costi del mancato esercizio di questi diritti.

“Abbiamo provato a considerare il caso dell’acquisto, nel 2005, di un metro quadro di superficie utile prevista come edificabile dall’allora vigente PRG, in una zona di medio valore di Modena sottoposta piano particolareggiato urbanistico di attuazione (Pua). Partendo dai costi allora presenti sul mercato, a cui vanno aggiunte le spese di registro, quelle sostenute per i progetti e la redazione del PUA, senza contare le spese di gestione amministrativa e costi vari non facilmente individuabili, siamo attestati sugli 800 euro per ogni mq. di superficie utile. A questi vanno aggiunti gli oneri finanziari (per 13 anni almeno 200 euro), l’ICI/Imu per altri 85 euro, per un totale di 1.085 € per mq. di superficie. Intanto procedono gli iter burocratici e si arriva al 2018, tredici anni dopo l’acquisto, quando, malgrado tutte le delibere del caso, non si è ancora arrivati all’autorizzazione da parte del Comune per l’inizio dei lavori. In altre parole, tutti questi costi, per 13 anni, si sono rivelati assolutamente improduttivi. Ora, se moltiplichiamo questo dato economico per metro quadro per 75, ovvero la dimensione media di un alloggio, come indicato dalle norme di piano, per sviluppare una palazzina di 10 appartamenti, arriviamo ad un costo complessivo di 813.750 euro, l’8% dei quali di imposte. Senza contare eventuali costi per opere compensative oggi frequentemente chieste dalle amministrazioni comunali a vantaggio della comunità. Fatti tutti questi conti, ci chiediamo: quale volano economico avrebbe potuto innescare la realizzazione di questa abitazione? E perché le imprese dovrebbero subire questa palesemente ingiusta penalizzazione?”

E non vale, secondo l’Associazione, addurre come giustificazione a queste mancate edificazioni la possibilità di ristrutturare, processo notoriamente più costoso della realizzazione di un edificio ex novo, e comunque operazione che necessita dell’accordo dei proprietari degli immobili da ristrutturare. Che hanno, a proposito, l’assoluta libertà di decidere cosa fare delle loro proprietà. In ogni caso, manca un quadro normativo che faciliti tecnicamente e renda più conveniente economicamente il recupero.

“Proponiamo – chiosa provocatoriamente Papotti – una soluzione: se vogliamo bloccare questi interventi edilizi, indennizziamo chi ha investito su questi terreni pagandoci anche imposte che sono andate a beneficio di tutta la comunità (compreso chi oggi contesta gli insediamenti), introducendo una tassa di scopo destinata appunto a ripagare le spese sostenute da chi ha investito programmando il lavoro del proprio personale e sviluppando su questi progetti la propria attività aziendale. Perché, di fatto, altrimenti sarebbe come impedire ad un’impresa di utilizzare il proprio magazzino e commercializzare i propri prodotti. Insomma, vogliamo bloccare questi investimenti? Allora rimborsiamo queste spese. Perché è facile fare i sacrifici con i soldi degli altri”.

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