Che il sale faccia male era noto, ma nessuna meta-analisi era stata in grado di indagare se quantità ridotte di assunzione di sodio potessero già influire sulla pressione sanguigna. In letteratura sono stati infatti pubblicati numerosi studi e meta-analisi sull’argomento, ma nessuno fino ad ora, dopo aver messo assieme i risultati di diversi studi e contributi pubblicati in ambito internazionale, aveva effettuato un’analisi statistica complessiva capace di abbracciare tutte le fasce e tipologie di popolazione sin dall’età giovanile e, soprattutto, tutta la gamma di assunzione riscontrabile nella popolazione, realizzando in tal modo un significativo passo avanti nell’ambito della epidemiologia nutrizionale su un tema molto “caldo” e controverso.

Ci è riuscito in questo sforzo, che ha richiesto ben tre anni di lavoro, un gruppo internazionale di ricercatori/trici coordinato dalla Sezione di Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze (BMN) dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e nello specifico del CREAGEN – Centro di Epidemiologia Ambientale, Genetica e Nutrizionale. Del gruppo, coordinato dall’igienista ed epidemiologo del BMN Prof. Marco Vinceti, fanno parte anche il ricercatore e dottorando in Medicina Clinica e Sperimentale Dott. Tommaso Filippini e la Dott.ssa Marcella Malavolti, tecnico della Sezione. Nella iniziativa sono stati coinvolti, pure, ricercatori/trici appartenenti a tre importanti istituzioni straniere: il Prof. Paul Whelton, ipertensivologo della Scuola di Sanità Pubblica della Tulane University di New Orleans, la Prof.ssa Androniki Naska, nutrizionista del Dipartimento di Epidemiologia, Igiene e Statistica dell’Università di Atene, e il Prof. Nicola Orsini, statistico del Dipartimento di Salute Globale dell’Istituto Karolinska di Stoccolma, i primi due anche componenti del collegio docenti del Dottorato Unimore in Medicina Clinica e Sperimentale, diretto dal fisiologo del BMN Prof. Giuseppe Biagini.

Il valore scientifico di questa estesa ricerca di meta-analisi, pubblicata in data odierna, 15 febbraio, col titolo “Blood pressure effects of sodium reduction: a dose-response meta-analysis of experimental studies” (Effetti della assunzione di sodio sulla pressione sanguigna: una meta-analisi dose-risposta di studi sperimentali) è confermata dall’interesse che le ha dedicato la rivista statunitense “Circulation”, edita dalla American Heart Association, considerata la migliore rivista del mondo di medicina cardiovascolare.

“Siamo sicuramente stati fortunati, e dobbiamo molto in questi tre anni di lavoro necessari per svolgere le analisi e preparare il manoscritto – afferma il coordinatore del gruppo Prof. Marco Vinceti di Unimore –, alla magnifica collaborazione tra ricercatori/trici del nostro Ateneo e tre ricercatori/trici di particolare competenza appartenenti ad istituzioni estere”.

Il progetto, ed è questa la sua principale novità, ha applicato una nuova metodologia statistica messa a punto dal Prof. Nicola Orsini e dai suoi collaboratori, la cosiddetta one-stage meta-analysis, allo studio dell’effetto dell’assunzione di sale, e specificatamente di sodio, sui livelli di pressione arteriosa sia nei normotesi che negli ipertesi, consentendo l’evidenziazione di associazioni ‘non-lineari’ a differenza di tutte le meta-analisi precedenti basate sull’analisi delle sole tendenze lineari o sul paragone tra categorie espositive elevate e ridotte, penalizzando in tal modo una descrizione compiuta di tale associazione.

“Le analisi precedenti – spiega il Prof. Marco Vinceti – pensavano (come tante analisi più in generale su altre problematiche) che la relazione tra un fattore (della dieta come in questo caso cioè il sodio o qualsiasi altro nutriente o farmaco o sostanza tossica) e un esito sanitario fosse direttamente interpretabile in un grafico con una linea retta. In natura le cose spesso non stanno così. Uno dei meriti dell’analisi che abbiamo utilizzato è la sua capacità di descrivere relazioni appunto ‘non-lineari’ e ben più complesse di quelle lineari a linea retta, come le relazioni “con soglia”, a “U”, etc.”

Questo approccio ha consentito la costruzione di curve dose-risposta per l’intero spettro di assunzione di sodio, caratterizzandosi anche per l’abbandono di una metodologia statistica ormai superata in ambito biomedico quale quella del p-value e della significatività statistica. Si è in tal modo potuto evidenziare come un effetto “nocivo”, cioè di incremento dei livelli pressori, si evidenzi già a livelli estremamente bassi di assunzione alimentare di sodio (a partire cioè da 1-1,5 grammi al giorno).

Ciò avviene indistintamente sia nei maschi che nelle femmine, nell’età giovanile e in quella più avanzata, nei soggetti ipertesi (dove il fenomeno è più evidente) e nei normotesi, nel breve e nel lungo termine, ed indipendentemente dal trattamento con farmaci anti-ipertensivi.

L’osservazione di un incremento pressorio nei normotesi associato all’assunzione di sodio anche a livelli molto ridotti, dell’ordine di 1,5-2 grammi al giorno, rappresenta probabilmente il risultato più importante di questa meta-analisi in termini di medicina preventiva e sanità pubblica.

“Tale associazione – commenta il Prof. Marco Vinceti – è stata infatti fortemente discussa negli ultimi anni e persino negata da alcuni esperti, come avvenuto non più tardi del dicembre 2020 da una Cochrane Review. Le nostre osservazioni confermano, invece, la bontà delle indicazioni fornite dalla American Heart Association e molto recentemente dall’EFSA-European Food Safety Authority e dalla corrispondente autorità statunitense, con le quali si invitava a contenere il consumo di sodio della popolazione generale entro i limiti di 1,5-2,3 grammi al giorno”.

La pubblicazione dei ricercatori Unimore è stata, altresì, rilanciata sul sito dell’American Heart Association dedicato alle novità editoriali (https://www.heart.org/en/news), a dimostrazione del largo interesse nei confronti dell’approccio metodologico e della problematica esaminata.

Il Dottor Tommaso Filippini, primo autore dello studio, ha dichiarato: “La <forza> della metodologia utilizzata è proprio quella di aver reso possibile l’integrazione in un modello dose-risposta dei risultati di studi sperimentali, considerati più <robusti> in epidemiologia perché privi di possibili distorsioni, ad esempio riguardo la valutazione dell’assunzione di sodio o della pressione arteriosa, presenti in altri tipi di studio. Si tratta di una importante conferma dal punto di vista di sanità pubblica, poiché sottolinea come un intervento molto semplice e a basso costo come la riduzione dell’assunzione di sale, abbia effetti benefici nel ridurre i livelli di pressione arteriosa in ogni persona che abbia già ricevuto o meno una diagnosi di ipertensione. In pratica, più si riesce a ridurre il sale meglio è. Tale raccomandazione, assieme ad altre sane abitudini, come ad esempio svolgere regolarmente attività fisica, si configura come una misura valida e efficace in grado di evitare, o per lo meno ritardare, l’utilizzo cronico di farmaci per il trattamento dell’ipertensione”.

Il Prof. Marco Vinceti, dal canto suo ha sostenuto: “La dimostrazione di effetti benefici della riduzione dell’assunzione abituale di sodio nei confronti dei livelli pressori già nei normotesi e, perfino, a ridotti livelli di assunzione rafforza la necessità di adottare interventi di sanità pubblica e di educazione alimentare tesi a ridurre il rischio cardiovascolare in tutta la popolazione e sin dalla giovane età”.

Il Prof. Giuseppe Boriani, Direttore della Struttura Complessa di Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, ha dichiarato che: “Lo studio ha grande importanza in quanto sottolinea il ruolo fondamentale che può svolgere una educazione alimentare mirata a ridurre l’apporto di sodio, risultando un indispensabile provvedimento per il controllo dell’ipertensione nella popolazione. Le implicazioni pratiche di questo studio sono pertanto ben evidenti e verranno applicate nella pratica clinica quotidiana, istruendo i pazienti a limitare l’apporto di sale complessivo a non più di un cucchiaino da caffè al giorno, tenuto conto anche della quantità di sodio contenuta nei cibi, particolarmente rilevante nei cibi preconfezionati e conservati”.

“Mi unisco – conclude il Prof. Michele Zoli, Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze – ai commenti dei colleghi sulla fondamentale importanza scientifica dello studio coordinato dal Prof. Vinceti e sull’impatto notevolissimo che avrà sulla sanità pubblica e la pratica clinica. Ancora una volta la strada intrapresa da questo gruppo di ricerca affrontando tematiche di ampia valenza socio-sanitaria con l’ausilio di metodi di analisi raffinati ed innovativi si dimostra di grande prospettiva. Aggiungo la soddisfazione personale per l’ennesimo risultato eccellente di un gruppo di ricerca che continua a dare lustro al nostro dipartimento”.

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