Uno studio di ricercatori Unimore, appena pubblicato sulla rivista internazionale Cretaceous Research, ha fornito nuove informazioni su fossili di ittiosauri provenienti dall’Appennino modenese. Lo studio, curato dal dott. Giovanni Serafini e dal prof. Cesare Papazzoni di Unimore, è frutto di una collaborazione con la prof.ssa Eliana Fornaciari dell’Università di Padova e la dott.ssa Erin Maxwell del Museo di Storia Naturale di Stoccarda.
Gli ittiosauri erano rettili marini, perfettamente adattati alla vita acquatica, che popolavano gli oceani nel Mesozoico, l’era nella quale i dinosauri occupavano tutti gli ambienti continentali. Il nuovo studio ha preso in esame alcuni reperti trovati nei dintorni di Gombola sull’Appennino modenese, a partire dal XIX secolo e facenti parte delle collezioni storiche dell’Ateneo, ai quali se ne è aggiunto uno, oggi conservato presso il Museo civico “Augusta Redorici Roffi” di Vignola, rinvenuto soltanto nel 2016 dal sig. Sauro Manzini.
L’analisi dei microfossili trovati nei frammenti di roccia aderente ai resti ossei ha permesso per la prima volta di arrivare alla datazione di uno dei frammenti all’intervallo Albiano-Cenomaniano (113-94 milioni di anni fa), ovvero alla parte più recente della distribuzione temporale degli ittiosauri, subito prima della loro estinzione avvenuta appunto circa 94 milioni di anni fa.
I reperti, tutti frammenti del muso di questi animali, sono caratterizzati da numerosi e robusti denti conici e sono stati studiati con una tecnica non invasiva, la tomografia assiale computerizzata (TAC), eseguita grazie alla preziosa collaborazione fornita dall’Ospedale S. Agostino-Estense di Baggiovara. La TAC ha permesso di visualizzare la struttura interna dei fossili, rivelando dettagli anatomici altrimenti invisibili: tra questi sono stati riconosciuti e ricostruiti digitalmente i canali del nervo trigemino all’interno dell’osso di mascella e mandibola, un carattere poco conosciuto negli ittiosauri, specialmente nella parte anteriore del muso, e che si ipotizza potesse avere funzioni sensoriali. Sempre grazie alla tomografia, è stato possibile studiare la sostituzione dei denti, che avveniva in posizioni alternate, coinvolgendo un dente sì e uno no, probabilmente per mantenere la capacità di mordere anche durante il ricambio della dentatura.