La situazione economica nell’area metropolitana bolognese vede una prospettiva di crescita nonostante i riflessi della guerra in Ucraina e uno scenario economico internazionale in profonda riconfigurazione. Il conflitto e la pandemia hanno reso evidente la crisi di un modello di sviluppo che ha esaurito la sua forza propulsiva e la necessità di trovare nuove modalità capaci di riannodare i fili che tengono insieme crescita economica e coesione sociale. Vi sono numeri che raccontano plasticamente questo stato di sospensione tra il non più e il non ancora, tra ciò che non funziona più e ciò che verrà.
Il punto della situazione è stato fatto nei giorni scorsi al Tavolo di ripresa economica della Città metropolitana di Bologna. Guido Caselli, coordinatore del gruppo di lavoro Dati e monitoraggio, ha presentato un’analisi della situazione economica del territorio bolognese e del trend di sviluppo futuro, basata su dati Unioncamere e Camera di Commercio di Bologna.
L’analisi ha preso avvio dall’impatto del conflitto in Ucraina sull’economia bolognese. I riflessi si leggono nei dati dell’inflazione schizzata a oltre il 6 per cento nell’aprile del 2022 e attesa in ulteriore crescita per il mese di maggio. Una dinamica spinta dall’aumento dei beni energetici, ma ben visibile anche nel forte incremento dei prezzi dei beni alimentari e dei trasporti. L’aumento dei prezzi ha inciso profondamente anche nell’attività delle imprese manifatturiere bolognesi, nei primi tre mesi l’energia è costata il 31 per cento in più rispetto all’anno precedente le altre materie prime hanno segnato una variazione del 26 per cento, i semilavorati del 21 per cento.
Il peso della guerra sta determinando un sensibile ridimensionamento delle previsioni di crescita del valore aggiunto della città metropolitana. Le previsioni più recenti realizzate da Prometeia stimano per il 2022 un incremento del 2,3 per cento; a gennaio si ipotizzava una variazione del 3,6 per cento, quindi una contrazione di 1,3 punti percentuali. A preoccupare maggiormente è il dato del comparto industriale previsto in flessione dell’1,3%. L’economia bolognese per tornare ai livelli pre-pandemia dovrà attendere il 2023.
A marzo 2022, rispetto allo stesso periodo del 2019, si contano 573 imprese in più e circa seimila addetti in meno. A recuperare e a superare i livelli pre-pandemia sono il settore dell’Information and Communication Technologies, le costruzioni, il sociale e i servizi alle imprese. In forte sofferenza la moda, il commercio e i settori della lavorazione del legno e della carta.
Da rilevare come stia diventando sempre più frequente la nascita di imprese in settori che fuoriescono dalle classificazioni tradizionali, nuove attività che intercettano i cambiamenti e le opportunità offerte dal digitale e dalle tematiche legate alla sostenibilità.
Nuovi percorsi di crescita emergono anche guardando al mercato del lavoro. Secondo dati Excelsior per il periodo maggio-luglio 2022 le imprese bolognesi prevedono oltre 23mila nuove assunzioni, in larga parte concentrate in professioni tradizionali: cuochi, camerieri, tecnici in campo informatico, operai metalmeccanici, personale non qualificato nei servizi di pulizia. Figure che nel 45% dei casi non si trovano, rendendo il mismatch tra domanda e offerta di lavoro un problema sempre più pressante.
Non sono solo i mestieri tradizionali ad essere ricercati, vi sono numerose imprese bolognesi che sono alla ricerca di nuove figure – dal designer di metaversi al growth hacker, dall’NFT collector al data scientist, – professioni che rimandano a un’economia in divenire che, ancora una volta, segue percorsi fuori dagli schemi conosciuti.
Non sono solo le attività e i mestieri a vivere una fase di trasformazione, anche le traiettorie territoriali sono attraversate da profondi cambiamenti. La pandemia e la guerra stanno ridisegnando le filiere su scala internazionale accorciandone le distanze, su scala locale i territori stanno rivedendo le proprie linee strategiche per poter cogliere le opportunità offerte da un mondo che cambia.
Bologna è una delle città che è cresciuta di più negli ultimi dieci anni, risultato raggiunto anche grazie all’essere localizzata lungo il nuovo triangolo dello sviluppo nazionale, quello che da Rimini collega Milano e dal capoluogo lombardo raggiunge Venezia. È sul perimetro di questo triangolo denominato Lover (dalla sigla delle tre regioni attraversate) che si trovano i comuni che in questi anni hanno ottenuto i migliori risultati di crescita economica e coesione sociale.
L’analisi – realizzata attraverso la piattaforma informativa PABLO di Unioncamere Emilia-Romagna che concentra al suo interno tutti i dati demografici, sociali, ed economici di tutti i comuni italiani – individua i comuni della città metropolitana che hanno raggiunto il livello di sviluppo più elevato: Granarolo dell’Emilia, Bentivoglio, Castel Maggiore, Ozzano dell’Emilia, Sant’Agata, Castel Guelfo, San Giorgio di Piano, Calderara di Reno, Zola Predosa, Minerbio, Valsamoggia, Sala Bolognese, Castenaso, Casalecchio di Reno.
Lo studio ha analizzato alcuni singoli aspetti che contribuiscono a determinare il risultato finale. La città metropolitana nel suo complesso ha dati superiori alla media regionale e nazionale riguardo a tutti gli aspetti che riguardano la sfera economica, in particolare la capacità di creare un ecosistema favorevole alla realizzazione delle imprese e dei lavoratori.
Con riferimento alla sfera sociale Bologna si distingue per prosperità e antifragilità, vale a dire per un benessere elevato e diffuso, sostenuto e alimentato da una rete di persone e infrastrutture volte a non lasciare indietro nessuno.
Tra i dati relativi alla sfera sociale da evidenziare anche quello relativo alla parità di genere. Anche in questo caso Bologna presenta risultati migliori rispetto all’Emilia-Romagna e all’Italia, tuttavia non mancano le criticità e le contraddizioni, come il fatto che a un livello medio di istruzione più elevato si accompagna un maggior tasso di disoccupazione. Un dato ancora più stridente in una città metropolitana che si caratterizza per il livello formativo – elevato richiesto ai suoi lavoratori.
C’è un dato dove Bologna risulta in posizione peggiore, è quello che riguarda il ricambio generazionale. Può essere riassunto anche attraverso l’indice di vecchiaia, vale a dire il numero di anziani ogni 100 bambini: nella città metropolitana di Bologna tale rapporto è pari a 199, all’interno del comune di Bologna arriva a toccare quota 209; nel mondo è pari a 35. Transizione demografica, digitale ed ecologica saranno le sfide dei prossimi anni, sicuramente la solitudine e l’invecchiamento della popolazione sarà la vera emergenza che Bologna sarà chiamata a fronteggiare sin da oggi.