La realizzazione di motori molecolari di dimensioni nanometriche (1 nanometro = 1 miliardesimo di metro) è uno dei successi di punta della nanotecnologia. Ora un team internazionale di ricercatori dell’Università di Bologna, del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna e dell’Università del Lussemburgo ha dimostrato l’analogia teorica fra il nanomotore e il motore termico, ed ha quantificato per la prima volta la capacità di questo sistema di utilizzare la luce per immagazzinare energia, combinando risultati sperimentali con simulazioni teoriche.

A realizzare lo studio – pubblicato oggi sulla rivista Nature Nanotechnology – è stato un team di ricerca coordinato da Alberto Credi e composto da Marina Tranfić Bakić, Stefano Corrà, Jessica Groppi, Emanuele Penocchio, Massimo Baroncini, Serena Silvi e Massimiliano Esposito. I risultati ottenuti aprono nuove prospettive per la progettazione di motori molecolari capaci di utilizzare l’energia in maniera più efficiente e, in futuro, compiere funzioni utili.

“Il nanomotore è in grado di utilizzare la luce come carburante convertendola in lavoro chimico, analogamente a un motore termico a quattro tempi che converte benzina in lavoro meccanico: il sistema è completamente autonomo, si assembla spontaneamente in soluzione a partire dai suoi componenti, e si avvia se esposto alla luce”, spiega Alberto Credi, professore al Dipartimento di Chimica Industriale “Toso Montanari” dell’Università di Bologna e direttore scientifico del Center for Light Activated Nanostructures (CLAN). “Il suo funzionamento ricalca quello dei motori biologici che regolano il trasporto di sostanze all’interno delle cellule o la contrazione dei muscoli”.

Il motore molecolare costruito e studiato a Bologna si basa sul sistema Leap (Light effected autonomous pump) ed è in grado di convertire in modo continuo l’energia luminosa di una fonte stazionaria (come il Sole) in lavoro chimico. Leap è stato anche il primo esempio di pompa molecolare artificiale azionata dalla luce. Il gruppo lussemburghese, recentemente, ha sviluppato una teoria in grado di razionalizzare il comportamento di sistemi chimici fotoattivati, come ad esempio la fotosintesi clorofilliana fatta dalle piante, in analogia con la teoria dei motori termici.

Questa sinergia di competenze ha portato ad una collaborazione in cui per la prima volta è stato possibile quantificare l’energia convertita e l’efficienza di una macchina molecolare artificiale attivata dalla luce. Un risultato che non solo rappresenta uno dei pochissimi esempi in questo ambito, ma permette anche di trattare sulla stessa base sistemi nano e macroscopici e di comparare i nanomotori azionati dalla luce con quelli che utilizzano altre forme di energia (chimica o elettrica).

IL MOTORE

Il motore molecolare è costituito da due componenti a forma di anello e di filo che si possono infilare uno nell’altro. Il filo, poi, è in grado di interagire con la luce modificando la sua forma. Questa serie di interazioni fra i componenti e con la luce dà origine a quattro differenti stati nel ciclo del motore, proprio come se si trattasse di un motore termico a quattro tempi: infilamento, isomerizzazione, sfilamento, isomerizzazione.

Per effettuare considerazioni quantitative sul ciclo operativo del nanomotore, è necessario, però, poterne studiare separatamente tutte e quattro le fasi. Per riuscirci, gli studiosi hanno combinato due tecniche che di solito sono utilizzate separatamente: la fotoirradiazione e la risonanza magnetica nucleare (NMR). Grazie ad una fibra ottica collegata ad una sorgente adeguata, la luce – ovvero il “carburante” del nanomotore – viene convogliata direttamente nello strumento utilizzato per studiare le molecole e i loro movimenti, cioè lo spettrometro di risonanza magnetica nucleare. In questo modo si può “accendere” il motore e “vedere” i suoi quattro stadi operativi.

 

I RISULTATI

Un primo risultato molto significativo è che la quantità di lavoro svolto dal motore è correlata all’intensità della luce utilizzata per farlo funzionare. Esattamente come avviene in un motore termico che opera a diversi regimi in base alla quantità di carburante, anche il nanomotore opera a diverse velocità variando l’intensità di luce fornita.

In secondo luogo, si è osservato che il motore presenta un’efficienza diversa a seconda del regime di funzionamento, che è altamente dipendente dal flusso di carburante fornito (ovvero la luce). Utilizzando nuovamente l’analogia con il motore termico, una miscela più o meno ricca in benzina porta il motore a ingolfarsi o a battere in testa, riducendone le prestazioni. Analogamente, aumentando il flusso luminoso (ingrassando la miscela) si ottiene più lavoro chimico, ma la conversione dalla luce è meno efficiente; a flussi più bassi invece l’energia viene convertita con meno perdite.

“Nelle condizioni sperimentali utilizzate l’efficienza massima del nanomotore è di circa lo 0,3%: una resa è ancora molto inferiore a quella di analoghi processi fotosintetici naturali che possono arrivare anche al 5-10%”, dice ancora Credi. “Tuttavia, il risultato è di grande importanza: sia per capire meglio il funzionamento dei nanomotori (biologici e artificiali), sia per costruire dispositivi nanometrici di nuova generazione, capaci di accumulare/convertire efficientemente l’energia di una fonte luminosa stazionaria, come il Sole. Tali processi di conversione sono di importanza cruciale per lo sfruttamento dell’energia solare in molti settori tecnologici”.

 

IL PROGETTO

Le macchine molecolari artificiali, premiate con il Nobel per la Chimica nel 2016, convertono l’energia proveniente da una sorgente in movimenti nanometrici controllati e sono uno dei risultati più eclatanti delle nanotecnologie. Comprendere meglio quali siano gli intimi meccanismi che regolano questa conversione energetica è necessario per poter progettare nuove tipologie di macchine molecolari. In questo senso, i risultati ottenuti rappresentano un passo in avanti significativo per lo sviluppo di macchine molecolari sempre più sofisticate.

Il nuovo studio su Leap è il risultato di un progetto nato circa cinque anni fa nell’ambito di un Advanced Grant del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC), il finanziamento per la ricerca scientifica più prestigioso in Europa. Lo studio si inserisce in un’attività di ricerca nella quale il Center for Light Activated Nanostructures (Clan), un laboratorio congiunto dell’Università di Bologna e del Cnr, è leader internazionale. In passato il laboratorio aveva già attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sviluppando pompe (Nature Nanotechnology, 2015) e spugne (Nature Chemistry, 2015) molecolari azionate dalla luce, nonché ingranaggi molecolari (Chem, 2021). Il ruolo centrale della ricerca scientifica bolognese nel panorama delle macchine molecolari è stato suggellato dall’evento “MolecularMachinesDays”, tenutosi a Bologna nel novembre 2018 con la partecipazione dei tre vincitori del Premio Nobel per la Chimica 2016.

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO

Lo studio è stato pubblicato sull rivista Nature Nanotechnology con il titolo “Kinetics and Energetic Insights into the Non-Equilibrium Dissipative Operation of an Autonomous Light-Powered Supramolecular Pump” (DOI: 10.1038/s41565-022-01151-y). Gli autori sono Stefano Corrà, Marina Tranfić Bakić, Jessica Groppi, Emanuele Penocchio, Massimo Baroncini, Serena Silvi, Massimiliano Esposito e Alberto Credi.

Didascalie immagini:

  1. Il gruppo di ricerca dell’Università di Bologna;
  2. Il ciclo a “quattro tempi” del nanomotore (I) infilamento – (II) isomerizzazione – (III) sfilamento – (IV) isomerizzazione (schema a sinistra), e il lavoro chimico fatto dal nanomotore alle diverse intensità di luce (grafico a destra)
  3. Lo spettrometro di risonanza magnetica nucleare utilizzato per effettuare le misurazioni sulle macchine molecolari.
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