La Procura della Repubblica di Bologna – Dipartimento Antiterrorismo ha coordinato un’indagine condotta dal Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, culminata con l’odierna esecuzione di una misura cautelare personale a carico di un cinquantaduenne, di origine bosniaca e residente a Bologna, ritenuto responsabile di aver effettuato, personalmente o mediante soggetti terzi ignari delle finalità perseguite, numerosi trasferimenti di denaro per oltre 50.000 euro in favore di esponenti di cellule terroristiche e destinati in tutto o in parte alla definizione di condotte con finalità di terrorismo.
Attraverso il provvedimento in parola è stata disposta la misura degli arresti domiciliari con applicazione del dispositivo elettronico di controllo a distanza.
L’inchiesta parte nei primi mesi del 2020, nell’ambito del costante monitoraggio che il Raggruppamento compie da anni dei circuiti radicali di matrice jihadista, anche di quelli riconducibili all’area balcanica occidentale che si caratterizza per il rinnovato attivismo espresso dalla sua diaspora in Europa. Veniva, quindi, individuato un cittadino bosniaco regolare sul territorio italiano, artigiano e titolare di un’impresa individuale operativa nel settore edile, caratterizzato da un profilo ideologico-confessionale aderente a una visione radicale ed estremista dell’Islam. Tale contesto veniva approfondito con ulteriori verifiche che consentivano di accertare l’esistenza di preesistenti contatti tra il predetto cittadino bosniaco e un Imam, anch’esso di origine balcanica, già noto per essere destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 16 marzo 2016 dall’ufficio GIP del Tribunale di Venezia e scaturita da altra indagine condotta dal ROS.
Il provvedimento di cattura non veniva eseguito in quanto l’Imam veniva tratto in arresto in Bosnia ed Erzegovina e condannato a sette anni di reclusione per incitamento pubblico ad attività terroristiche e reclutamento. In particolare, nell’inchiesta in parola è stato accertato che l’Imam, nel corso del 2014, aveva organizzato un “tour di preghiera” nel nord Italia, con la finalità ultima di reclutare miliziani votati al “jihad armato” da inviare a combattere in Siria e Iraq nelle file dello Stato Islamico, in quel periodo all’acme della sua potenza bellica.
Altro aspetto rilevante della complessa manovra investigativa è riconducibile alla dettagliata ricostruzione dei trasferimenti di denaro che, posti in essere fina dal 2014, erano destinati a cellule jihadiste per il sostentamento di gruppi operanti in Bosnia e per il reclutamento di nuovi combattenti da destinare ai diversi quadranti geografici ove il Califfato sta cercando di imporre la propria supremazia. L’indagato si attivava personalmente o per mezzo di soggetti terzi ignari delle reali finalità perseguite, per inviare, mediante servizi di money transfer, cospicue somme di denaro in Bosnia e anche in Albania, dissimulando le sue reali intenzioni, attraverso l’utilizzo di soggetti intermediari incaricati di ricevere il denaro per poi consegnarlo ai reali terminali delle transazioni, individuati quali appartenenti alle organizzazioni del jihad globale.
Lo schema comportamentale posto in essere dall’indagato e rilevato nel corso dell’indagine conferma quanto emerge dalla costante attività di analisi compiuta dal Raggruppamento sull’evoluzione del fenomeno, con particolare riferimento alle istruzioni che il Daesh impartisce nell’ambito della sua pressante azione di propaganda mediatica realizzata attraverso internet. Lo Stato Islamico, infatti, prendendo atto della sconfitta territoriale subita nell’area siro-irachena e delle oggettive difficoltà di imporsi in altri quadranti geografici (come l’Africa, ove la contesa con al-Qaeda ha assunto contorni particolarmente efferati), ha da tempo sensibilizzato i propri simpatizzanti affinché contribuiscano a mantenere in vita l’organizzazione a livello globale in ogni modo: dalla perpetuazione del suo messaggio apologetico soprattutto online (il c.d. jihad della penna), al sacrificio della propria vita combattendo nei teatri di conflitto o lanciando un attentato in Occidente (il c.d. jihad con la vita), al sostegno finanziario nei confronti dei membri dell’organizzazione ovunque si trovino (il c.d. jihad con la proprietà).
L’operazione odierna mette ancora una volta in risalto la necessità che le forze di polizia, anche sotto la direzione dell’Autorità giudiziaria, continuino nell’opera di costante aggiornamento del quadro della minaccia jihadista, arrivando a coglierne le più significative evoluzioni, così da risultare in grado di far fronte a comportamenti che, altrimenti, risulterebbero privi di rilevanza per la sicurezza. È il caso di chi, come il cinquantaduenne bosniaco tratto in arresto, pur non sacrificando la propria esistenza per la causa, decide di fornire un contributo determinante, destinando i propri averi al jihad globale.