“La seduta è stata posticipata al 28 febbraio per completare tutte le pratiche relative all’appello”. Così ha scritto in arabo sul proprio profilo Facebook Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna arrestato nel febbraio 2020 e scarcerato nel dicembre scorso in attesa di giudizio.
Da allora Zaki, attivista per i diritti umani, ha visto le udienze subire diversi rinvii da parte del Tribunale di Mansoura, sua città natale.

Da quasi tre anni quindi attende di conoscere l’esito delle accuse per diffusione di false notizie in patria e all’estero per via di un articolo pubblicato nel 2018 in cui denunciava le violenze contro la minoranza copta nel Paese. Si tratta di capi d’accusa che rientrano nei reati contro la Sicurezza dello Stato e, se confermati, potrebbero costargli una condanna fino a 5 anni di reclusione.

Poco prima dell’udienza, Patrick Zaki aveva pubblicato su Facebook un post in cui esprimeva le emozioni suscitate dal ripercorrere la strada verso il tribunale che immancabilmente lo riporta con la mente all’esperienza del carcere: “due anni di ricordi – ha scritto – che spero non si ripetano mai più”. Sensazioni “pesantissime”, col timore che “rivivere quel calvario sia una realtà molto vicina”.
La vista delle camionette della polizia, allora, delle manette o “altri piccoli dettagli che sfuggono alla vista delle persone comuni” per Zaki invece “rappresentano un vero trauma” che “resta impresso nella mente di chi ha vissuto l’esperienza carceraria e ha bisogno di molto tempo per riprendersi”.
Uno degli aspetti più duri per un ex detenuto secondo Zaki è il fatto di “non uscire mai davvero dalla cella. Anche se vieni scarcerato, la tua mente resta confinata lì. Ti rimane dentro per molto tempo e ti accompagna per il resto del viaggio. Almeno a me sta accadendo questo” ammette il ricercatore, che aggiunge: “nonostante i miei sforzi per superare quell’esperienza, mi accorgo che quel pensiero mi attacca quando meno me lo aspetto, anche se sto facendo qualcosa che mi dà gioia”.

Zaki parla di “incubo”, di “lunga notte” a cui “la mente non smette di tornare”. Lo studente avverte: “Rispetto a questo, c’è chi sopravvive e chi purtroppo non ce la fa. Mantenere la propria salute mentale è il lavoro più difficile”.
Per questo, conclude lo studente, “sono grato ai miei amici per il loro infinito sostegno. Ad ogni udienza ricevo tantissimi messaggi di solidarietà e affetto che mi fanno capire di non essere solo in questa difficile esperienza e mi dà qualche speranza che qualcosa di bello possa accadere presto. Mi auguro che questo incubo finisca presto e di poter tornare a studiare in Italia, anche per poter lavorare al mio recupero”.

Noury (Amnesty): Rinvio udienza Zaki abnorme, Meloni agisca

Il rinvio al 28 febbraio del processo a Patrick Zaki disposto stamani dal tribunale egiziano di Mansoura “è abnorme, perché è il nono a cui assistiamo” dichiara il portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury, all’agenzia Dire.

Il nuovo appuntamento in aula, avverte Noury, “avverrà quando saranno stati superati abbondantemente i tre anni dall’inizo di questa vicenda giudiziaria”.

Secondo il portavoce di Amnesty “va ricordato che Zaki è sotto processo per aver difeso la sua comunità, la minoranza cristiano-copta, parlando in un articolo delle discriminazioni che subisce in quanto lui stesso è membro di quella minoranza. Neanche questo argomento può interessare il nostro attuale governo?” si chiede Noury, che aggiunge: “Dopo l’incontro tra la premier Meloni e il presidente egiziano Al-Sisi”, avvenuto a margine della Conferenza Onu sul Clima ‘Cop-27′ che è stata ospitata dal 6 al 18 novembre dallo Stato egiziano a Sharm El-Sheikh, “si era detto che il calendario avrebbe fornito subito un’occasione per verificare se quel colloquio avrebbe portato qualcosa di nuovo. La notizia che ci arriva da Mansoura oggi dice di no. E’ tutto come prima: ci sono questioni sui diritti umani tra Italia ed Egitto che non si riescono ad affrontare”, conclude Noury.

fonte: Agenzia DIRE

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