Gli approfondimenti investigativi svolti all’esito di un servizio di controllo del territorio, che aveva consentito di notare la posa di materiale edile anomalo presso un cantiere destinato all’edificazione di alcune stalle, hanno portato i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale di Reggio Emilia, con il supporto delle Stazioni Carabinieri Forestale di Gualtieri e Busana, ad attenzionare un impianto di gestione rifiuti, ubicato nella bassa reggiana. Ricostruendo la tracciabilità di tale materiale gli investigatori, sotto il costante coordinamento della Procura di Reggio Emilia, anche attraverso l’ausilio di droni, sono giunti ad individuare l’impianto di provenienza risultato essere di un’azienda destinata proprio al recupero di rifiuti edili.
Le verifiche hanno messo in luce come il cosiddetto “aggregato misto”, generato presso l’impianto sottoposto ad indagine, era da ritenersi a tutti gli effetti un rifiuto pericoloso, posto tuttavia in vendita con tanto di marcatura CE. Nel corso del controllo presso l’impianto di recupero sono emerse difformità rispetto agli atti autorizzativi e violazioni, oltre che del Testo Unico Ambientale, anche di tipo urbanistico ed edilizio tra cui lo stoccaggio di ingenti cumuli di rifiuti e materiale destinato all’edilizia in aree a destinazione agricola. Alcuni cumuli sono addirittura risultati stoccati a pochi metri dal confinante corso d’acqua, in violazione del vincolo paesaggistico e di sicurezza idraulica. Anche i pozzetti deputati alla raccolta delle acque venute a contatto con i rifiuti del piazzale (a tutti gli effetti reflui industriali) si trovavano sepolti sotto la montagna di rifiuti rendendo inefficiente il sistema di raccolta e depurazione delle acque, tanto da non escludere che i reflui, dopo essere venuti a contatto con i rifiuti stoccati nel piazzale, possano essere dispersi nell’ambiente circostante attraverso il suolo per poi magari confluire nel vicino corso d’acqua.
A conclusione dei rilievi cartografici e degli accertamenti documentali, i carabinieri hanno posto sotto sequestro preventivo l’intero impianto, provvedimento successivamente convalidato dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Reggio Emilia che ha accolto le richieste della Procura di Reggio Emilia. La situazione cristallizzata ritrae un totale di oltre 10 mila metri cubi di materiale stoccato illecitamente all’interno dell’impianto, giacente anche sui confinanti terreni a destinazione agricola pari a circa 16 mila tonnellate, ovvero l’equivalente del carico trasportabile da 400 bilici. Tra questo materiale, ingenti quantitativi di rifiuti che, senza essere preventivamente analizzati per escludere la presenza di sostanze pericolose (come amianto e metalli pesanti), erano gestiti dall’impianto che, però, non risulta essere autorizzato alla gestione di rifiuti pericolosi. Oltre all’impianto di recupero è stato sequestrato anche il cantiere edile a pochi chilometri di distanza, dove circa 5000 tonnellate di rifiuti pericolosi sarebbero state illecitamente smaltite nella presunta veste fraudolenta di rifiuto già recuperato (ciò per la realizzazione di un piazzale con un’estensione di oltre un ettaro pari a 10 mila mq) con un profitto non dovuto per l’impresa che si aggira intorno ai 16 mila euro.
Per questi motivi il titolare dell’impianto residente in Veneto è stato denunciato alla Procura reggiana diretta dal Procura reggiana diretta dal Procuratore Capo Calogero Gaetano Paci per i reati che spaziano dalla gestione illecita di rifiuti pericolosi allo scarico non autorizzato di acque reflue industriali, oltre all’abusivismo edilizio e violazioni di tipo paesaggistico ed idraulico. Ravvisata anche l’ipotesi di reato di frode in commercio, per la messa in vendita da parte dell’azienda di rifiuto pericoloso non correttamente sottoposto a recupero.