Un cortometraggio internazionale girato all’ospedale civile di Baggiovara per sensibilizzare sulle encefaliti autoimmuni, di cui domani 22 febbraio ricorre la Giornata mondiale. “Il buio e la luce”, che racconta la storia vera di Alessia Bellino, paziente modenese curata nel 2015 all’Ospedale Civile di Baggiovara con il commento del regista Francesco Zarzana e della stessa protagonista, viene proiettato nel convegno organizzato oggi dall’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena nell’Aula Magna del Centro Servizi e dedicata a cittadini, pazienti, caregiver e professionisti, “Riflettori sulle encefaliti autoimmuni, dalle encefaliti anti-recettore NMDA (anti-NMDAr) agli stati epilettici a origine sconosciuta”.
L’encefalite è una patologia acuta, caratterizzata da un’infiammazione del cervello. Tipicamente è più frequente nel genere femminile (circa 70-80%), nelle persone giovani, e anche nei bambini. La malattia autoimmune è causata da anticorpi diretti contro il recettore “NMDA” del glutammato, uno dei principali trasmettitori del sistema nervoso e in particolare della corteccia cerebrale. Si stima che poco meno di 1 persona su 1 milione di abitanti sviluppi ogni anno un’encefalite anti-NMDAr.
Il cortometraggio “Il buio e la luce”
Francesco Zarzana è il regista che ha realizzato il cortometraggio ispirato alla storia di Alessia Bellino, giovane donna colpita da encefalite che nel 2021 ha scritto un libro autobiografico, “Dalla corsia alla corsa”.
“Il cortometraggio – racconta Zarzana – nasce dalla volontà di diffondere il messaggio di conoscenza dell’encefalite autoimmune e far sì che anche il linguaggio dell’immagine possa fare la propria parte. Buona parte del corto è stato girato nel reparto di Neurologia dell’Ospedale di Baggiovara. Si è rivelata una straordinaria esperienza per tutta la troupe, accolta non solo con grande senso di ospitalità, ma anche di attenzione e cura da parte di tutto il personale sanitario, che ci ha mostrato quanta empatia trasmettono queste straordinarie persone che tutti i giorni lavorano per la salute dei pazienti”.
L’opera conta una versione italiana con la voce fuori campo della stessa Alessia, una versione francese e una inglese, che sta girando nei più importanti festival internazionali.
“Quando Francesco Zarzana mi ha parlato dell’idea del corto – ricorda Alessia Bellino – sono stata fin da subito entusiasta. Sono attiva da tempo sul web e sui social come testimonial della malattia e sono spesso in contatto con altri pazienti e caregiver, a cui cerco di dare supporto e informazioni, basandomi sulla mia esperienza e sulle collaborazioni con altre associazioni nel mondo, tra cui The Anti NMDA Receptor Encephalitis Foundation del Canada, che ha contribuito anche alla realizzazione del corto. Sono felice che grazie al libro la mia storia possa essere letta, commentata e condivisa, ma lo sono ancora di più ora che diventerà un cortometraggio, perché significa rendere il contenuto e il messaggio della storia più comprensibile, visibile e condivisibile in modo universale”.
La patologia
Come spiega il professor Stefano Meletti, Direttore della S.C. di Neurologia dell’AOU di Modena, “nell’encefalite autoimmune anti-recettore NMDA, il sistema immunitario inizia a produrre anticorpi contro le cellule che esprimono i recettori NMDA. Si può manifestare in due forme: una collegata a un tumore congenito delle ovaie (teratoma, un tumore generalmente benigno in cui le cellule tumorali attivano il sistema immunitario) e l’altra che non presenta questo legame (in tal caso si tratta probabilmente di un’infezione virale o batterica che provoca l’attivazione errata del sistema immunitario dell’organismo)”.
E prosegue: “La patologia può manifestarsi con sintomi iniziali sotto forma di ansia, insonnia, paura, e mania. L’effetto sulle cellule nervose del cervello conduce ad un’alterazione della memoria e soprattutto un disturbo del linguaggio. Nel decorso della malattia si possono poi aggiungere sintomi più pronunciati come alternanza di agitazione e stati di immobilità (catatonia) e presentare crisi epilettiche fino alla perdita di coscienza. Le crisi maggiori possono diventare pericolose per la vita se si prolungano (stato epilettico)”.
La diagnosi viene effettuata mediante un’analisi del sangue e/o del liquido cerebro-spinale.
“Il trattamento – prosegue il professor Meletti – si concentra sulla rapida riduzione o rimozione degli anticorpi nocivi per ridurre la risposta immunitaria e il rischio di ulteriori danni al sistema nervoso. Se viene rilevato un tumore, la sua rimozione deve essere simultanea a una prima linea di trattamento immunoterapico”.
Anche i bambini, precisa il professor Lorenzo Iughetti, Direttore della S.C. di Pediatria dell’AOU di Modena, posono essere affetti da encefaliti autoimmuni che possono esordire con sintomatologia simil-influenzale con febbre e cefalea, cui seguono crisi epilettiche, spesso refrattarie al trattamento. Queste encefaliti possono però esordire in modo subdolo e meno facile da diagnosticare con confusione, amnesia, o quadro psicotico seguiti 1-2 settimane dopo da discinesie oro facciali e movimenti coreo atetosici. In ogni caso le encefaliti autoimmuni rappresentano un dilemma diagnostico e una non sempre facile sfida terapeutica”.
Al momento del ricovero o in seguito all’aggravarsi del quadro clinico, il paziente può essere accolto in Terapia Intensiva. Come riferisce la dottoressa Elisabetta Bertellini, Direttore della S.C. di Anestesiologia e Rianimazione dell’Ospedale Civile di Baggiovara, “la multidisciplinarietà rimane fulcro del trattamento di cura, ma, oltre alla professionalità, la relazione interpersonale che si instaura, sin dall’inizio tra i medici, gli infermieri, tutto il personale della Terapia Intensiva e i familiari/caregivers rappresenta l’elemento fondamentale. Accogliere e accompagnare le famiglie alla consapevolezza della gravità del quadro clinico, informarla sull’evoluzione e sostenerla in una prospettiva costituisce un nostro dovere”.
Superata la fase acuta della malattia la riabilitazione ha un ruolo molto importante, in particolare per quei pazienti con i maggiori disturbi di linguaggio e di memoria. Altrettanto utile può essere un supporto psicologico che può essere un percorso di recupero lungo, ma che in molti casi permetterà di riprendere una vita piena e attiva. E questo aspetto riguarda anche i familiari e i caregiver.
Come riferisce la dottoressa Paola Dondi, Direttore della S.C. di Psicologia dell’Ospedale Civile di Baggiovara, “il familiare/caregiver è emotivamente coinvolto, e come tale si trova nella condizione di poter portare all’attenzione degli operatori sanitari la propria conoscenza delle caratteristiche individuali della persona, aiutandoli a riconoscerla nella sua soggettività ed unicità. Il coinvolgimento emotivo deve, tuttavia, trovare una modulazione per evitare che un suo eccesso amplifichi nel familiare uno stato di malessere speculare a quello del paziente. Il supporto psicologico può diventare una risorsa nelle difficili e prolungate assistenze ospedaliere, dove l’attesa tra la speranza e il timore di notizie e di inquadramento diagnostico rende conto di una condizione di sospensione traumatica”.
La testimonianza di un caregiver
“Non conoscere contro cosa si stia lottando, quale sia la causa, l’assenza di una cura e non poter prevedere quali possano essere gli esiti della malattia sono fattori che amplificano il dolore di chi vede una persona cara passare da un perfetto stato di salute ad un ricovero in terapia intensiva a causa di una stato di epilessia refrattario di nuova insorgenza di tipo criptogenico”. Sono parole di un caregiver, Matteo Francavilla, che ha vissuto la malattia della moglie e che ora come caregiver fa parte del NORSE Institute, istituto americano fondato negli USA da Nora Wong nel 2016, in seguito alla perdita del figlio ventenne per NORSE.
“Questo è quanto abbiamo vissuto da agosto 2016 a maggio 2017 all’Ospedale Civile di Baggiovara. In un contesto di disperazione, nella decisione di catalizzare l’operato dei medici e specialisti anche verso connessioni internazionali per condividere informazioni e conoscenze, è nata la mia interazione con l’istituto. La sua missione è aumentare la consapevolezza di questa patologia, stimolare, integrare e sostenere la ricerca; sviluppare una comunità condivisa di ricercatori e famiglie NORSE”.
Conclude il professor Francavilla: “Gli esiti della patologia per mia moglie sono stati severi e gravemente invalidanti, con conseguenze impattanti sull’intera famiglia. La ricerca ha ancora molto da fare perché ad oggi, in molti casi non è possibile stabilire una diagnosi “eziologica”, in particolare per quelle condizioni severe che chiamiamo stati epilettici refrattari a origine sconosciuta”.