Sono oltre 750 i pazienti con linfoma seguiti dall’Unità Operativa Complessa di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, diretta dal Professor Mario Luppi. Questo quando le diagnosi si attestano attorno ai 100 nuovi pazienti all’anno. Il dato arriva in occasione della Giornata Mondiale della consapevolezza sul linfoma in programma venerdì 15 settembre, dopo la sua istituzione avvenuta nel 2004.
Scopo di tale ricorrenza è puntare i riflettori su questa particolare ed eterogeneo gruppo di neoplasie maligne che originano da cellule chiamate linfociti e, nella maggior parte dei casi, si manifestano con un ingrossamento dell’apparato linfoghiandolare. I linfomi si distinguono in due grosse categorie: i linfomi di Hodgkin ed i linfomi non Hodgkin, che nel 90% dei casi sono costituiti da linfomi che originano dai linfociti B e nel restante 10% da linfomi che originano dai linfociti T. Per quanto riguarda l’attività dell’AOU di Modena, ogni anno si presentano tra i 25 e i 30 nuovi casi di linfoma non Hodgkin aggressivi a cellule B, 15 di linfoma follicolare e 20 di linfoma di Hodgkin.
«La diagnosi di un linfoma – spiega il Professor Mario Luppi – avviene grazie alla valutazione multidisciplinare di una biopsia del tessuto linfomatoso, spesso un linfonodo, da parte dei colleghi che operano nel Dipartimento di Medicina di Laboratorio e Anatomia Patologica diretto dal Dottor Tommaso Trenti, in cui la diagnosi istopatologica coordinata dal Professor Albino Eccher si integra con una serie di valutazioni molecolari che permettono di precisare la diagnosi in modo moderno, secondo le ultime raccomandazioni della Classificazione OMS, uscite nel luglio del 2022, e quindi orientare la scelta della terapia più appropriata e anche formulando la prognosi più precisa possibile, sia alla diagnosi che nei casi di successiva ricaduta».
La multidisciplinarità gioca un ruolo chiave anche nell’importante utilizzo di programmi specifici di Radioterapia, con il coordinamento del Professor Frank Lohr, nella cura di alcuni tipi di linfomi non Hodgkin, come quelli primitivamente comparsi e confinati, e nel linfoma di Hodgkin, nelle presentazioni di malattia localizzate. Durante il programma terapeutico e al termine delle cure, in tempi rigorosamente standardizzati e appropriati, è possibile assicurare una sorveglianza della risposta, dell’efficacia delle cure e dello stato di remissione della malattia, utilizzando sia tecnologie avanzate di Radiologia, con il coordinamento del Professor Pietro Torricelli, che di Medicina Nucleare, con il coordinamento del Dottor Stefano Panareo. «La ricerca clinica – prosegue il Professor Mario Luppi – ha un ruolo da protagonista e il centro di Modena è in rete con quelli più all’avanguardia della nostra Regione e del Paese per le sperimentazioni delle terapie per i linfomi, così da garantire l’offerta dei percorsi più adeguati di cura a chi afferisce nella nostra Azienda Ospedaliero-Universitaria».
L’esordio e la ricaduta della malattia linfomatosa e le cure possono essere gravate da un alto carico di sofferenza, di sintomi fisici come il dolore, e psicologici, anche legati alla incertezza della prognosi di malattia ed alle possibili tossicità. «Per questo – conclude il Professor Mario Luppi – dobbiamo assicurare sempre una stretta integrazione tra le più adeguate e innovative terapie ematologiche, e una presa in carico globale dei bisogni dei pazienti e caregivers nel Dipartimento di Oncologia ed Ematologia diretto dal Dottor Giuseppe Longo, sia con l’offerta di interventi di cure palliative precoci emato-oncologiche, presenti presso la cattedra di Ematologia di UNIMORE, che di interventi di urgenza presso il PS Affido COM».
Focus sui linfomi
A seconda del loro comportamento clinico i linfomi sono chiamati “indolenti” ed “aggressivi”. I linfomi “indolenti” sono chiamati in questo modo perché sono costituiti da cellule tumorali con una bassa velocità di crescita che è viceversa più rapida nei cosiddetti linfomi “aggressivi”. Nei linfomi “indolenti”, tra cui ricordiamo quello follicolare, quello marginale e altri ancora, la diagnosi è spesso occasionale, a causa del riscontro di tumefazioni linfonodali in sedi uniche o multiple e già alla diagnosi può essere presente una infiltrazione del midollo osseo da parte delle cellule linfomatose. Pur essendo sensibili alle terapie, spesso vanno incontro a successive ricadute. I linfomi “aggressivi”, tra cui i linfomi aggressivi a cellule B ed alcuni sottotipi di linfomi T, causa la loro rapidità di accrescimento si manifestano con sintomi sistemici mentre le linfoadenomegalie sono più spesso localizzate e l’infiltrazione del midollo osseo più rara. Il linfoma di Hodgkin mostra una caratteristica distribuzione cosiddetta “bimodale”, con un primo picco di incidenza intorno a 20-30 anni di età e un secondo oltre i 60 anni: più frequentemente si manifesta con febbre, calo di peso, sudorazioni notturne e prurito diffuso e nei giovani può esordire con ingrossamento di linfoghiandole nel torace.
Focus sulle terapie
Le terapie sono oggi nella maggior parte dei casi basate sulla chemioterapia, integrata da altre più “specifiche” come gli anticorpi monoclonali ampiamente utilizzati già alla diagnosi, per cui la terapia è oggi chiamata “immuno-chemioterapia”, ovvero la chemioterapia combinata a farmaci capaci di riconoscere bersagli specifici delle cellule linfomatose, vale a dire anticorpi diretti contro l’antigene CD20, espresso dai linfomi B e contro l’antigene CD30 espresso da alcuni tipi di linfoma T.
Nelle ricadute di malattia si può ricorrere a schemi particolari di chemioterapia, associata spesso ad anticorpi, anti-CD 20 ed anti-CD 30, seguita dal trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche, sia a terapie innovative. Tra queste vanno ricordate le terapie geniche chiamate CAR-T rappresentate da linfociti T che vengono prelevati dal paziente, successivamente congelati (o freschi) e inviati alla struttura che si occuperà dell’ingegnerizzazione genetica. Con tecniche di ingegnerizzazione genetica, viene aggiunto al DNA dei linfociti un gene ricombinante che permette di esprimere sulla superficie dei linfociti T la proteina CAR. Grazie a questo recettore, i linfociti T modificati (chiamate appunto cellule CAR-T) sono in grado di riconoscere un antigene/bersaglio specifico presente sulla superficie delle cellule tumorali e legarsi a esse, eliminandole. Oggi tali terapie sono rimborsate dal Sistema Sanitario Nazionale per alcuni tipi di linfomi non Hodgkin B quali ad esempio il linfoma aggressivo a cellule B, il linfoma mantellare ed il linfoma primitivo mediastinico, ricaduti dopo almeno due linee di precedenti terapie.
Terapie alternative alle terapie CAR-T, sulla base delle condizioni cliniche del paziente e delle caratteristiche del linfoma possono essere i cosiddetti anticorpi bispecifici, ovvero farmaci capaci di richiamare i linfociti T normali, presenti nel sistema immunitario del paziente e indirizzarli contro le cellule di linfoma, eliminandole.
Altre terapie chiamate “inibitori del checkpoint” (“punto di controllo”) hanno lo scopo di “disinnescare” meccanismi di inibizione di risposte linfocitarie anti-linfomatose già pre-esistenti nei pazienti e possono quindi risvegliare una risposta anti-tumorale efficace verso linfomi refrattari alle terapie convenzionali, come nel caso del linfoma di Hodgkin.