Un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna ha ideato e testato con successo una tecnica che permette di migliorare la nostra capacità di riconoscere le emozioni nel volto delle altre persone.
Lo studio – pubblicato su Nature Communications – ha indagato una porzione del network corticale visivo alla base di questa abilità e ha dimostrato che attivando determinati meccanismi di plasticità è possibile rafforzare la comunicazione all’interno del network e migliorare così la capacità di riconoscimento delle emozioni.
“Con questo studio abbiamo messo in evidenza la plasticità delle connessioni direzionali che si originano da aree visive di alto livello e si dirigono verso aree primarie: una caratteristica che si rivela molto importante per la percezione di informazioni biologicamente rilevanti, come le espressioni emotive”, spiega Alessio Avenanti, direttore del Non-Invasive Brain Stimulation Research Group e professore presso il Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari” dell’Università di Bologna, che ha coordinato lo studio. “I risultati che abbiamo ottenuto hanno implicazioni significative per la comprensione dei meccanismi neurofunzionali della percezione umana e per lo sviluppo di terapie mirate alla cura di diverse condizioni neurologiche e psichiatriche in cui la connettività cerebrale risulta alterata”.
La plasticità cerebrale è la capacità del cervello di adattarsi e cambiare nel tempo. Per indagare il riconoscimento delle emozioni nei volti, gli studiosi si sono concentrati in particolare sul solco temporale superiore (STS) e sulle aree visive precoci (V1/V2). L’area STS è una regione visiva di alto livello specializzata per codificare stimoli biologicamente rilevanti come ad esempio le espressioni facciali altrui. Le aree V1/V2 sono invece responsabili della percezione visiva di base.
“Abbiamo sviluppato un nuovo approccio di stimolazione magnetica transcranica (TMS) appaiata, ovvero applicata in modo sincronizzato su due aree cerebrali”, dice ancora Avenanti. “E abbiamo bersagliato queste due regioni del sistema visivo – il solco temporale superiore (STS) e le aree visive precoci (V1/V2) – per stimolare la plasticità neurale: l’obiettivo era riuscire a rafforzare le connessioni tra le due regioni“.
Una tecnica che si è rivelata efficace: il nuovo protocollo di TMS ha permesso rafforzare le connessioni, per lo più indirette, che rientrano “all’indietro” dalle aree temporali di alto livello (STS) alle aree visive precoci (V1/V2). E dai risultati è emerso che questo rafforzamento, indice di plasticità cerebrale, migliora significativamente la capacità di riconoscere le emozioni negli altri.
“Studiando i tempi di attivazione delle aree visive precoci V1/V2 dopo la stimolazione di STS, abbiamo ottenuto informazioni fondamentali per lo sviluppo del nuovo protocollo di TMS“, dice Sara Borgomaneri, professoressa al Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari” dell’Università di Bologna e prima autrice dello studio. “Questa precisione temporale ci ha permesso di sviluppare un protocollo appaiato che stimola in modo controllato i neuroni di STS e di V1/V2, attivando i meccanismi di plasticità associativa tra le due aree“.
Lo studio è stato condotto su 155 partecipanti adulti. A loro è stato chiesto di riconoscere le emozioni espresse da una serie di immagini di volti presentate molto rapidamente (per pochi millisecondi) su uno schermo. Per migliorare la capacità di riconoscimento emotivo, i ricercatori hanno applicato il nuovo protocollo di stimolazione magnetica transcranica.
I risultati ottenuti mostrano un significativo aumento nell’accuratezza del riconoscimento delle espressioni emotive. E questa maggiore capacità veniva mantenuta anche dopo la stimolazione, per almeno 80 minuti.
“Per garantire che l’effetto osservato fosse specifico per il nuovo protocollo di TMS, abbiamo condotto diverse stimolazioni di controllo“, aggiunge Vincenzo Romei, professore al Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari” dell’Alma Mater e coautore dello studio. “Questi controlli hanno confermato che l’effetto è specifico per l’applicazione del protocollo che stimola la plasticità associativa tra STS e V1/V2”.
Non solo: il miglioramento è risultato specifico unicamente per il compito di riconoscimento di espressioni facciali, mentre non si è osservato alcun miglioramento in un compito di controllo nel quale i partecipanti dovevano riconoscere il sesso della persona osservata. Un risultato che – sottolineano gli studiosi – è coerente con il ruolo del solco temporale superiore (STS) nel codificare espressioni dinamiche del volto, ma non aspetti morfologici del volto utili ad esempio per il riconoscimento del sesso di una persona.
“La scoperta che queste connessioni possono essere potenziate per migliorare la percezione apre nuove prospettive nella riabilitazione dei disturbi percettivi e cognitivi“, dice in conclusione Avenanti. “In futuro, il protocollo di TMS potrebbe infatti essere adattato per individui con connettività cerebrale alterata, aprendo la strada a terapie mirate, personalizzate e altamente precise”.
Lo studio è stato realizzato presso il Centro Studi e Ricerche in Neuroscienze Cognitive dell’Università di Bologna (Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari” – Campus di Cesena), in collaborazione con l’Università di Torino e l’Ospedale San Camillo IRCCS di Venezia, ed è stato supportato da fondi del progetto MNESYS del Partenariato Esteso in Neuroscienze e Neurofarmacologia PNRR e dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.
I risultati sono stati pubblicati su Nature Communications con il titolo “Increasing associative plasticity in temporo-occipital back-projections improves visual perception of emotions”. Gli autori sono Sara Borgomaneri, Marco Zanon, Paolo Di Luzio, Antonio Cataneo, Giorgio Arcara, Vincenzo Romei, Marco Tamietto e Alessio Avenanti.