Il cuore, macchina perfetta o perfettamente complessa, in cui anche un piccolo malfunzionamento può generare una reazione a catena e complicare il quadro di salute della persona. Nell’evoluzione della medicina, proprio l’estrema complessità del suo funzionamento e dei suoi componenti, ha portato i medici a specializzarsi su alcuni di essi e su peculiari metodiche di intervento. Oggigiorno si riconosce l’importanza delle sinergie nel trattamento dei casi più complessi da parte dei diversi specialisti, che si concretizza grazie all’utilizzo della sala ibrida.

Si tratta di una sala operatoria, di cui solo poche cardiochirurgie sono dotate, dove sono presenti apparecchiature di diagnostica radiologica e tutta la tecnologia presente in una sala operatoria di cardiochirurgia tradizionale. Consente di effettuare interventi di chirurgia cardiaca, vascolare e di emodinamica interventistica ad elevata complessità. Una delle apparecchiature presenti è un angiografo collegato a un braccio robotizzato che produce immagini radiologiche anche tridimensionali in tempo reale e che consente agli operatori di seguire ogni step dell’intervento, con risultati migliori in tempi brevi anche in caso di interventi complessi. La sala ibrida è indispensabile in una cardiochirurgia all’avanguardia.

Come nel caso di un paziente di 73 anni, originario di Casalmaggiore, Cremona, che presentava tre masse tumorali radicate sulla valvola aortica ed una severa malattia delle coronarie, la cui rimozione ha richiesto il lavoro congiunto di cardiochirurghi e cardiologi interventisti: un intervento che non sarebbe stato possibile senza la sala ibrida, presente a Salus Hospital di Reggio Emilia, Ospedale di Alta Specialità di GVM Care & Research accreditato con il SSN.

“Ci siamo trovati a dover affrontare una sfida complessa – racconta il dott. Vinicio Fiorani, responsabile dell’U.O. di Cardiochirurgia di Salus Hospital –. Pur trattandosi di un tumore benigno, vi era il rischio che queste masse, crescendo, si potessero staccare, innescando complicanze anche gravi, come ad esempio l’ictus. Il caso che ci si presentava era inoltre estremamente raro, in quanto ognuna di queste masse era ancorata a ciascuna delle cuspidi della valvola aortica”.

A complicare ulteriormente il quadro c’era anche una severa malattia coronarica confermata dalla TAC coronarica a cui il paziente è stato sottoposto in previsione dell’intervento. Con grande probabilità, anche tale patologia avrebbe richiesto un trattamento in sala operatoria. Quando è presente una malattia coronarica è indispensabile eseguire un ulteriore accertamento rappresentato dalla coronarografia che nel caso del 73enne, a causa delle masse tumorali presenti sulla valvola aortica, era assolutamente controindicata per il rischio che tali tumori potessero staccarsi.

“In pratica dovevamo operare un paziente con una malattia critica delle coronarie senza però avere in mano una diagnosi chiara – prosegue il dott. Fiorani –. La nostra strategia quindi è stata: condurre il paziente in sala operatoria, nella nostra sala ibrida, effettuare l’asportazione del tumore con un accesso mininvasivo, cioè senza aprire completamente il torace, eseguire la coronarografia dopo aver asportato il tumore e, se questa avesse dimostrato la presenza di una coronaropatia critica, proseguire l’intervento chirurgico confezionando anche i bypass aortocoronarici”.

Grazie alla sala ibrida è infatti possibile eseguire in un’unica seduta operatoria due fasi differenti dell’intervento, che altrimenti richiederebbero lo spostamento del paziente in sale chirurgiche diverse. Tutto ciò ha ricadute positive sul paziente, per il quale viene minimizzato il trauma operatorio.

Mediante la coronarografia, eseguita durante la procedura stessa, è stata confermata dunque una stenosi, ovvero un restringimento anomalo di un vaso sanguigno che spesso richiede un bypass aortocoronarico. “In questo caso non è stato indispensabile perché tale lesione poteva essere trattata anche con l’angioplastica – commenta il dott. Fiorani – ma se fosse stato necessario avremmo potuto eseguirlo seduta stante, grazie all’ambivalenza della sala ibrida”.

Per ovviare alla stenosi, dopo una settimana di degenza post-operatoria, il paziente è stato sottoposto ad un’angioplastica da parte del dott. Stefano Fioroni, emodinamista di Salus Hospital; si tratta di una procedura endovascolare mininvasiva per allargare il vaso ostruito grazie a piccoli cateteri a forma di palloncino.

Il 73enne è stato dimesso a soli 15 giorni dal primo intervento, dopo aver eseguito presso Salus Hospital anche la degenza riabilitativa. Oggi a distanza di tre mesi dall’intervento è in ottima forma ed è tornato alla sua vita normale.

“Questo caso dimostra come la sala ibrida, dove cardiochirurghi, cardiologi e cardioanestesisti possono lavorare insieme, sia essenziale non solo per ridurre l’impatto di un intervento sul paziente, ma anche per ottimizzare i tempi e poter attuare interventi ancor più complessi. Le procedure a cavallo tra diverse figure professionali sono sempre più frequenti, come ad esempio la TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation) ovvero l’impianto percutaneo di protesi aortica, che sono il fiore all’occhiello dell’attività cardiochirurgica e interventistica di Salus Hospital, con la speranza che diventi presto punto di riferimento anche per la rete cardiologica reggiana e il territorio” conclude il dott. Fiorani.

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Nella foto, da sinistra: Antonello Rago, responsabile anestesia e rianimazione, Domenica Sofia, infermiera sala operatoria cardiochirurgia, Vinicio Fiorani, responsabile UO di cardiochirurgia, il paziente, Stefano Fioroni, cardiologo emodinamista responsabile emodinamica, Giovanni Adornini, cardiologo responsabile cardiologia, Monica Carbognani, caposala blocco operatorio

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