Ci sono fattori genetici, culturali, sociali, ecologici e ambientali che influenzano l’invecchiamento. Tanto che popolazioni diverse che vivono nello stesso luogo possono mostrare età biologiche differenti. Lo rivela uno studio guidato da ricercatori dell’Università di Bologna e pubblicato su Evolution, Medicine, & Public Health.
Con una serie di analisi epigenetiche, l’indagine ha studiato il processo di invecchiamento biologico di due popolazioni provenienti dal villaggio di Misión Nueva Pompeya, in Argentina: i Wichí, una popolazione nativa americana, e i Criollos, un gruppo che ha radici sia native americane che europee.
“Analizzando gli orologi epigenetici delle due popolazioni abbiamo scoperto che i Wichí mostrano segni di invecchiamento biologico più elevati rispetto ai Criollos”, spiega Cristina Giuliani, professoressa al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, che ha coordinato lo studio. “Le differenze che abbiamo individuato possono essere spiegate in parte dalla diversa storia genetica delle due popolazioni, ma un ruolo importante è giocato soprattutto dallo stile di vita e da diversi fattori ecologici”.
L’invecchiamento della popolazione a livello globale sta rendendo la misura dell’età biologica – lo stato e la velocità del processo di invecchiamento dell’organismo – un elemento fondamentale per la prevenzione e la cura di molte malattie croniche. Per farlo, tra gli strumenti più innovativi ci sono gli “orologi epigenetici”: una serie di tecniche di analisi che permettono di distingue l’età cronologica da quella biologica di un individuo.
Oggi sappiamo che tra gruppi umani diversi possono esserci diverse velocità di invecchiamento. Manca ancora però un quadro complessivo di queste differenze, e in particolare sono ancora molto limitate le indagini sulle popolazioni indigene.
Per questo, gli studiosi hanno deciso di analizzare le differenze di invecchiamento in due popolazioni che convivono nel villaggio di Misión Nueva Pompeya, nel Gran Chaco, in Argentina, mantenendo però profili genetici e culturali distinti. Da un lato, i Wichí sono un popolo nativo americano, che è rimasto a lungo isolato dai diversi eventi migratori che sono avvenuti nel continente sudamericano. Dall’altro, i Criollos sono un gruppo geneticamente caratterizzato dall’incrocio tra diversi popoli indigeni e i primi colonizzatori europei.
L’analisi ha coinvolto 24 Wichí e 24 Criollos: attraverso una serie di analisi epigenetiche, gli studiosi hanno mostrato per la prima volta differenze significative tra le due popolazioni. In particolare, i Wichí mostrano un’età biologica più elevata rispetto ai loro vicini Criollos.
Per cercare di spiegare queste differenze, gli studiosi hanno preso in considerazione diversi parametri e dati etnografici tra cui lo stato nutrizionale, lo stato socioeconomico, il contesto ecologico e la positività a Tripanosoma cruzi, un parassita endemico in queste zone.
“I Wichí, tradizionalmente cacciatori, raccoglitori e orticultori stagionali da semi-nomadi, nelle ultime decadi del XIX secolo sono diventati sedentari, passando da una alimentazione che vedeva la prevalenza di frutti e animali della foresta al consumo di cibo industrializzato” spiega Zelda Alice Franceschi, professoressa al del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Alma Mater, da tempo impegnata in una ricerca etnografica nel villaggio di Misión Nueva Pompeya. “Questi cambiamenti economici e nutrizionali possono certamente aver contribuito alle differenze osservate nel confronto tra gli indicatori di invecchiamento biologico”.
Altri fattori chiave suggeriti potrebbero poi riguardare l’accesso all’acqua potabile e l’esposizione a malattie infettive. L’accelerazione dell’età epigenetica osservata tra i Wichí potrebbe essere infatti attribuita all’aumento dei tassi di infiammazione dovuti a infezioni ricorrenti.
“Anche la storia genomica ha giocato un ruolo”, aggiunge Stefania Sarno, ricercatrice al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. “Dalle analisi condotte è emerso come specifiche regioni genomiche di origine nativa influenzino gli orologi epigenetici “.
C’è insomma un’intricata rete di fattori che influenza l’invecchiamento epigenetico e per questo popolazioni diverse possono mostrare velocità di invecchiamento diverso.
“Sappiamo ancora poco sul legame tra orologi epigenetici e i possibili esiti in termini di salute nelle diverse popolazioni umane: per questo sono necessarie ricerche che rappresentino tutti i diversi gruppi popolazionistici e che considerino la complessa biodiversità umana”, dice in conclusione la professoressa Cristina Giuliani. “Inoltre, occorre un approccio di tipo interdisciplinare per poter comprendere i fattori biologici, culturali, sociali e ambientali alla base delle differenze che osserviamo nei processi di invecchiamento”.
Pubblicato sulla rivista Evolution, Medicine, & Public Health con il titolo “Epigenetic aging differences between Wichí and Criollos from Argentina: insights from genomic history and ecology”, lo studio è un primo risultato del programma Age-IT, uno dei 14 partenariati estesi finanziati a livello nazionale nell’ambito del PNRR e dedicato alle conseguenze e alle sfide dell’invecchiamento.
Alla ricerca hanno preso parte diversi studiosi dell’Università di Bologna: Vincenzo Iannuzzi, Stefania Sarno, Davide Pettener, Marco Sazzini e Cristina Giuliani del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali; Donata Luiselli e Paolo Abondio del Dipartimento di Beni Culturali; Gastone Castellani, Claudio Franceschi, Paolo Garagnani, Federica Sevini e Claudia Sala del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche; Federica Masciotta del Dipartimento di Scienze Statistiche “Paolo Fortunati”; Zelda Alice Franceschi del Dipartimento di Storia Culture Civiltà.