Nei giorni scorsi, e con notevole ritardo, il Ministero ha divulgato il resoconto degli sfratti emessi e richiesti nel corso del 2023. In realtà si tratta di un dato parziale della emergenza abitativa che riguarda un numero ben maggiore di nuclei famigliari.

Per la nostra regione parliamo di 2.795 sfratti eseguiti e 8.538 richieste di esecuzione: dati in leggera riduzione rispetto al 2022 ma non per tutti i territori e, in alcuni casi, dove vigono protocolli che vedono coinvolte le associazioni degli inquilini fin dalla prima udienza, i dati relativi alle richieste di liberare gli immobili da parte dei proprietari registrano cifre maggiori di quelle comunicate.

Migliaia sono le famiglie che faticano a trovare un alloggio in affitto compatibile con il proprio reddito, in un mercato drogato dagli affitti brevi senza regole serie, e che tanto meno possono sperare in un acquisto a causa di rapporti di lavoro discontinui o con stipendi inferiori ai 20.000 euro, si trovano in questa condizione oltre 670.000 lavoratori e lavoratrici nella nostra regione.

Parliamo di quegli occupati che fanno numero nelle statistiche ISTAT, ma non sono in grado di esercitare il diritto ad un alloggio dignitoso perché il mercato immobiliare va in tutt’altra direzione.

Le case ERP in regione sono poco più di 50.000, cioè un numero assolutamente insufficiente e i nuclei famigliari che, pur avendo i requisiti, sono in attesa da anni nelle graduatorie per una assegnazione sono quasi 30.000 e in costante crescita.

Parliamo poi di un patrimonio pubblico la cui costruzione risale per il 27% a prima del 1950, il 20% tra gli anni 50 e 60, mentre anche quelli costruiti tra gli anni 70 e 90  hanno costi di gestione alti per le tecniche costruttive fortemente energivore.

Tutti elementi questi che impongono una svolta nelle politiche abitative del nostro paese con un forte investimento pubblico sul diritto all’abitare dignitoso. L’assenza di queste politiche sta mettendo in discussione anche la qualità dello sviluppo del nostro territorio in quanto lavoratori giovani e famiglie non trovano alloggi compatibili con i loro redditi, e spesso devono rinunciare a coprire posti di lavoro disponibili, come ha osservato anche Confindustria.

In questi ultimi anni abbiamo assistito a una regressione delle politiche nazionali: siamo passati dai pochi investimenti a 0 investimenti, alla cancellazione anche di strumenti previsti dalle norme nazionali come i contributi all’affitto per evitare gli sfratti per morosità incolpevole, in parte sostituiti da investimenti della Regione Emilia – Romagna.

Oggi però tutto questo non è più sufficiente pena una progressivo snaturamento e impoverimento del tessuto economico e sociale del territorio.

Altro ragionamento invece riguarda il diritto allo studio e la carenza di alloggi a costi accessibili e condizioni dignitose per i fuori sede. È bene ricordare che già frequentare con impegno l’università  è un costo elevato per le famiglie dei ceti meno abbienti, se poi si aggiunge il costo dell’abitare fuori sede, i costi del posto letto offerti da piccoli e grandi proprietari praticati sono insostenibili.

Per questo servono studentati pubblici, quelli privati, per i costi che comportano, non risolvono il problema.

Per questo già la scorsa primavera il SUNIA ha depositato in parlamento 50.000 firme a sostegno di un programma di investimenti mirato per il diritto all’abitare al quale l’attuale maggioranza parlamentare non ha ancora dato riscontro. E’ chiaro che in assenza di misure adeguate nella nuova legge di bilancio non resterà che avviare una mobilitazione.

 

 

 

 

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