Uno studio su rocce di mantello della Patagonia (Argentina) potrebbero risultare di fondamentale importanza per comprendere il ciclo globale del carbonio ed i suoi effetti sul clima, aprendo uno squarcio sulle conoscenze che riguardano i processi di riciclo dei componenti fluidi, in particolare acqua e anidride carbonica, nelle rocce della crosta e del mantello superiore.
In queste rocce, infatti, un gruppo internazionale di ricercatori, di cui fanno parte il prof. Maurizio Mazzucchelli, professore ordinario di Petrologia e Petrografia, la prof.ssa Anna Cipriani, professore associato di Geochimica, entrambi di Unimore, ha rinvenuto la cosiddetta anomalia di DUPAL, iniziali di Dupré e Allègre, i ricercatori che nel 1983 per primi identificarono questa anomalia chimica nelle rocce basaltiche della dorsale medio oceanica dell’Atlantico Meridionale.
“L’anomalia DUPAL – spiega la prof.ssa Anna Cipriani di Unimore – consiste nella coesistenza nelle rocce di rapporti isotopici particolarmente elevati del piombo e dello stronzio. Oltre ai basalti dell’Atlantico Meridionale, questa anomalia era nota soltanto in rocce basaltiche dell’Emisfero Meridionale, nei continenti americano, africano, est asiatico e nel mare della Cina Meridionale, e più recentemente è stata rinvenuta in basalti della dorsale oceanica di Gakkel, il prolungamento sotto i ghiacci del Polo Nord della dorsale Medio Atlantica”.
Lo studio, cui hanno collaborato anche il prof. Cristophe Hémond dell’Université de Brest (Francia), il prof. Alberto Zanetti dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR di Pavia, il prof. Gustavo Walter Bertotto dell’Universidad Nacional de La Pampa (Santa Rosa – Argentina) ed il prof. Carlos Alberto Cingolani dell’Universidad Nacional de La Plata (Argentina), ha suscitato l’immediato interesse della comunità scientifica tanto da essere pubblicato sulla rivista Lithos di Elsevier, una delle riviste “top class” a livello mondiale nei settori disciplinari di Mineralogia, Petrologia e Geochimica.
Le ricerche sulle rocce di mantello della Patagonia sono inserite nell’ambito degli Accordi di Collaborazione Scientifica che Unimore ha con le due università sudamericane ed è per effetto di queste ricerche che, a partire dal 1995, sono state organizzate varie spedizioni in Patagonia allo scopo di raccogliere campioni di rocce di mantello incluse (come xenoliti) nei basalti e nei prodotti piroclastici eruttati negli ultimi 60 milioni di anni dai numerosissimi centri vulcanici, situati nelle province argentine del Chubut, Neuquen, Rio Negro e Santa Cruz.
“Gli xenoliti – spiega il prof. Maurizio Mazzucchelli di Unimore – sono campioni di mantello sottocontinentale che fortunosamente arrivano a noi durante grossi eventi vulcanici come quelli che hanno creato larghe province ignee che troviamo per esempio in Patagonia e in India. Durante questi eventi vulcanici i fusi prodotti in profondità incorporano e “strappano” durante la risalita piccole porzioni della roccia madre e le portano in superficie. Gli xenoliti, quindi, sono come “una finestra” aperta sulle profondità della nostra Terra altrimenti inaccessibili”.
“Durante l’attività vulcanica prodotta dai magmi che si originano nel mantello – aggiunge la prof.ssa Anna Cipriani di Unimore – avviene un imponente rilascio di fasi fluide (prevalentemente acqua e anidride carbonica, ma anche anidride solforosa) nell’idrosfera e atmosfera. Allo stesso tempo le rocce durante i processi di subduzione della crosta oceanica, che avvengono ad esempio in corrispondenza del margine tra Oceano Pacifico e continente Americano, reintroducono nel mantello quantità elevate di acqua e anidride carbonica, attraverso la destabilizzazione dei minerali delle rocce crostali e la formazione di nuovi minerali nelle rocce di mantello”.
I campioni oggetto dello studio provengono dalla località di Tres Lagos, situata nella provincia di Santa Cruz, lungo la Ruta 40, la strada nazionale che da Nord a Sud corre parallela alla Cordigliera Andina al bordo del Parque Nacional Los Glaciares. Le analisi molto accurate dei rapporti isotopici del piombo e dello stronzio di queste rocce, che hanno rivelato la presenza dell’anomalia DUPAL, sono state condotte dalla prof.ssa Anna Cipriani, quando era uno dei cosiddetti “cervelli in fuga” presso il Lamont Doherty Earth Observatory della Columbia University (USA), e dal prof. Cristophe Hémond presso i laboratori dell’Université de Brest.
La presenza dell’anomalia DUPAL in rocce di mantello era stata rinvenuta sino ad ora soltanto in xenoliti di rocce peridotitiche del Sudafrica nel Namaqua–Natal Belt del Cratone del Kaapvaal, ma documentata da analisi di minore accuratezza e precisione rispetto a quelle condotte nei due laboratori sopra citati.
“L’origine della presenza di questa anomalia in rocce di mantello – aggiunge il prof. Maurizio Mazzucchelli di Unimore – è ancora molto dibattuta. I nostri dati portano un robusto sostegno all’ipotesi che essa derivi dal contributo di antichissima crosta continentale. Queste porzioni di crosta, infatti, verrebbero reintrodotte nel mantello attraverso i processi di delaminazione o di subduzione crostale avvenuti nel corso delle ere geologiche, durante la formazione di nuovi oceani o la chiusura di essi dovuti alla tettonica delle placche. I risultati di queste ricerche sono, dunque, di fondamentale importanza per comprendere i processi di riciclo dei componenti fluidi, in particolare acqua e anidride carbonica, nelle rocce della crosta e del mantello superiore che possono influenzare sensibilmente il ciclo globale del carbonio e i suoi effetti sul clima. Si pensi che un recentissimo studio su minerali delle rocce di mantello profondo, ha portato a stimare una presenza di acqua inglobata nei minerali del mantello pari a quella presente negli attuali oceani”.
Questo studio è la continuazione ideale di anni di appassionate discussioni preliminari che il prof. Giorgio Rivalenti di Unimore, scomparso 7 anni fa, ebbe coi suoi collaboratori. E’ a lui che si deve l’interesse dei ricercatori modenesi per le problematiche dell’evoluzione del mantello sudamericano.
“L’84% circa del volume della nostra Terra – ci ricorda il prof. Maurizio Mazzucchelli – è mantello, separato da noi dalla crosta su cui viviamo. Il mantello raramente è accessibile a studi diretti e poco sappiamo della sua composizione e caratteristiche fisiche, se non con metodi di studio indiretti prevalentemente di tipo geofisico (proprietà delle rocce di propagare le onde sismiche). Il mantello è a noi accessibile direttamente in particolari porzioni dei fondali oceanici lungo le zone di frattura e faglie trasformi, nelle sequenze fossili di antichi oceani ora presenti sulle catene montuose, nelle scaglie di mantello fossile sottocontinentale venuto in superficie durante la formazione delle catene montuose oppure appunto tramite gli xenoliti di mantello”.
MAURIZIO MAZZUCCHELLI
E’ professore ordinario di Petrologia e Petrografia presso il Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia dal novembre 2002. Si è laureato nel 1981 cum laude in Scienze Geologiche presso l’Università degli Studi di Ferrara, dove nel 1983 è diventato ricercatore. Nel 1988 si è trasferito all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, dove nel 2000 è diventato professore associato. Le sue ricerche riguardano i processi petrogenetici della transizione crosta-mantello. In particolare, si occupa di sezioni affioranti di crosta profonda antica (Zona Ivrea-Verbano), magmatismo in ambiente continentale anorogenico (Cratoni Sud Americani), evoluzione del mantello litosferico continentale. È autore e coautore di 65 lavori scientifici pubblicati su riviste indicizzate ISI-JCR e di oltre 100 presentazioni a congressi nazionali e internazionali.
ANNA CIPRIANI
E’ professore associato in Geochimica e Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia dal novembre 2015. Si è laureata cum laude in Scienze Geologiche presso l’Università degli Studi di Padova e ha poi conseguito un M.Phil (2004) e il PhD (2007) in Earth and Environmental Sciences presso la Columbia University (USA). Dal 2007 ha svolto le sue ricerche come Postdoctoral Research Scientist presso il Lamont-Doherty Earth Observatory, dove tuttora è Adjunct Associate Research Scientist. Nel 2011 rientra in Italia come ricercatore a tempo determinato con il programma giovani ricercatori Rita Levi Montalcini. Usa la geochimica elementare ed isotopica per spiegare le eterogeneità geochimiche del mantello terrestre, i processi di accrezione della crosta oceanica e l’evoluzione delle dorsali medio oceaniche, attraverso lo studio di rocce del mantello e della crosta che affiorano sui fondali oceanici e di xenoliti di mantello. E’ autore di oltre 30 articoli su riviste scientifiche internazionali e di oltre 50 presentazioni a congressi nazionali e internazionali.