Il Sindaco di Bologna, Virginio Merola, ha conferito oggi il Nettuno d’Oro a Monsignor Fiorenzo Facchini, sacerdote dell’Arcidiocesi di Bologna e professore emerito dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. La cerimonia si è svolta nella Sala del Consiglio comunale di Palazzo d’Accursio in assenza di pubblico nel rispetto del Dpcm del 3 novembre 2020. Oltre al Sindaco, è intervenuto il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna. Le motivazioni del conferimento sono state lette dall’assessore Virginia Gieri. Alla cerimonia hanno partecipato i tre firmatari della proposta di conferimento del Nettuno d’Oro a Monsignor Facchini: Carla Landuzzi (Fondazione Ipsser), Paolo Galassi (Casa Santa Chiara), Gianluigi Poggi (Insieme per Cristina Onlus).

Scienziato, docente e sacerdote, Monsignor Facchini ha unito lo studio dell’Antropologia, di cui è stato docente a Bologna per ventinove anni, ai numerosi incarichi ricoperti per conto della Diocesi. Si è occupato di disabilità grazie all’incontro con Aldina Balboni, fondatrice di Casa Santa Chiara, e ha fondato “Insieme per Cristina onlus”, nata anche per sua iniziativa attorno a Cristina Magrini e che si occupa dei diritti delle persone in stato vegetativo e delle famiglie che se ne prendono cura.

Il Nettuno d’Oro è un premio conferito dal Comune di Bologna a partire dal 1974 ad aziende, cittadini, istituzioni e associazioni culturali che hanno onorato con la propria attività professionale e pubblica la città di Bologna.

L’intervento del Sindaco Virginio Merola
Di seguito il discorso pronunciato dal Sindaco Virginio Merola in apertura della cerimonia del conferimento del Nettuno d’Oro.

“Il Nettuno d’Oro è un riconoscimento molto importante per la città di Bologna. Sono molto contento della felice coincidenza con il Suo compleanno e di poter essere io a consegnarlo, per quanto è avvenuto in questi anni: per come ha seguito la vicenda Magrini, per come ha dato un Suo contributo a rendere umana questa città. È sempre faticoso, Lei che studia antropologia me lo potrà insegnare, tirare fuori l’umano e in questi tempi ne abbiamo estremo bisogno, siamo tutti impegnati a non perdere umanità in questa situazione.
Questo riconoscimento è davvero sentito, non solo da parte mia, ma da tutta la città. È un riconoscimento a una vita di studi nel campo dell’antropologia, in particolare, ed è un riconoscimento alle opere che Lei ha fatto negli anni. Si dice che non contano gli anni, ma le opere e credo che Lei lo abbia dimostrato abbondantemente con la sua vita che ha contribuito molto al senso civico, all’impegno di solidarietà e di carità che accomuna larga parte dei nostri cittadini e con la Sua attenzione ai temi dell’educazione e di questo ci tenevo a ringraziarLa”.

L’intervento di Monsignor Facchini nella Sala del Consiglio comunale subito dopo il conferimento

Signor Sindaco, Eminenza, amici,
il premio che mi viene conferito, la sede (il Comune di Bologna), l’autorità che lo consegna (il Sindaco della città) sono espressioni del mondo civile, di cui faccio parte, non di quello ecclesiale in cui ho sempre operato per scelta vocazionale e per dono di Dio nella Chiesa bolognese.
È per questo motivo che il mio pensiero in questa circostanza si porta su quelle attività e quegli impegni che più direttamente hanno interessato la città terrena, attività da me svolte e vissute nella fede cristiana, non estranee alla mia scelta sacerdotale, ma svolte in ambiti distinti.
In modo discreto, ma vero, il Sindaco nell’annunciare questo riconoscimento ha menzionato, accanto allo studio e alla docenza, il sacerdozio, che è rimasta la scelta di fondo della mia vita.
L’interesse per le Scienze Naturali, in cui mi sono laureato nel lontano 1958, mi indirizzò verso l’Antropologia, settore nel quale mi sono specializzato e ho operato per tanti anni (oltre mezzo secolo) nella ricerca e nell’insegnamento universitario, con uno spettro di interessi piuttosto ampio: dall’accrescimento umano, ai polimorfismi genetici, dall’adattamento alle alte quote in Asia centrale a reperti del Neolitico, alle antiche popolazioni del nostro territorio (Villanoviani ed Etruschi) e al grande tema dell’evoluzione umana, anche nei rapporti con la visione cristiana.
Questi interessi di carattere scientifico non mi hanno impedito di allargare lo sguardo al campo sociale, a partire dalla formazione degli assistenti sociali, attraverso l’IPSSER (Istituto Petroniano di Studi Sociali Emilia Romagna) che seguo dalla sua costituzione nel 1973. l’Istituto ha operato per molti anni in convenzione con l’Università, in stretta collaborazione con il dipartimento di Sociologia di cui desidero ricordare alcuni docenti: Achille Ardigò, Augusto Balloni, Paolo Guidicini, Ivo Colozzi, Carla Landuzzi, Pier Paolo Donati, Costantino Cipolla. Dal 1973 al 1989 sono stati 270 gli assistenti sociali diplomati con l’Ipsser. Con la cessazione della Scuola per assistenti sociali l’Ipsser, trasformatosi qualche anno fa in Fondazione, ha continuato a operare nella ricerca sociale e nella formazione e aggiornamento delle professioni che operano in campo sociosanitario d’intesa con l’Ordine degli Assistenti sociali e con l’ASL del territorio.
Ma una grande possibilità di conoscere la realtà sociale in un contatto diretto, come quello assistenziale, l’ho avuta con Aldina Balboni e Casa Santa Chiara, che conobbi casualmente alla fine degli anni 60. Aldina richiamò la mia attenzione sulla situazione delle adolescenti dimesse dagli istituti assistenziali. Con il processo della deistituzionalizzazione avviato all’inizio degli anni ’70 si andavano chiudendo gli istituti, ma senza alternative per le persone accolte. Aldina Balboni, che già aveva formato una comunità per giovani lavoratrici in via Pescherie Vecchie, rivolse il suo impegno a questi nuovi bisogni e mi coinvolse avviando quella esperienza singolare di impegno per le persone con disabilità che è stata ed è Casa Santa Chiara.
Forse fu questa mia esperienza diretta che indusse il Cardinale Antonio Poma e il Vescovo Ausiliare monsignor Marco Cé ad affidarmi nel 1974 il nuovo settore pastorale della carità e dell’assistenza (trasformatosi poi in Caritas diocesana nel 1976), un campo in cui si intrecciavano rapporti anche con la società civile (Regione e Comune) a seguito del decentramento regionale con la legge 616. Erano gli anni in cui, con la cessazione degli istituti e di una miriade di enti assistenziali, si rendevano necessarie nuove forme di assistenza. In quegli anni si andavano formando, non senza problemi e dibattiti, le normative nazionali e regionali per l’assistenza sociale, sfociate nella legge quadro 328 del 2000 e nella legge regionale dell’Emilia Romagna per l’assistenza sociale del 2003.
Molto vivo e dibattuto in quel tempo era il tema del pluralismo nell’attuazione delle riforme in campo sanitario e sociale, perché c’era chi lo intendeva solo in senso sociale o di supplenza, e non come pluralismo delle istituzioni operanti nel sociale, come poi è stato riconosciuto nelle successive riforme. E nel nostro piccolo, l’Ipsser e Casa Santa Chiara hanno sempre sostenuto e messo in pratica il pluralismo istituzionale in campo sociale e assistenziale. In questo contesto mi piace ricordare anche alcuni amici che sono stati seduti su questi banchi e condividevano la stessa linea di pensiero: Antonio Rubbi, Paolo Mengoli, Paolo Giuliani.
In quegli anni si affacciavano dunque per le persone con disabilità le richieste per nuovi bisogni (casa, lavoro, tempo libero), ai quali Aldina e Casa Santa Chiara cercavano di rispondere con attività diurne, i centri, i gruppi famiglia, a carattere residenziale, il Centro per il tempo libero Il Ponte. Nel frattempo si realizzò nel corso di tre estati la nuova casa di vacanza a Sottocastello in Cadore.
In seguito, una decina di anni fa, ho avuto modo di conoscere persone in stato vegetativo, come Cristina Magrini e Barbara Ferrari (entrambe chiamate a miglior vita), e con alcuni amici, in particolare Francesca Golfarelli e Gianluigi Poggi, si promosse l’Associazione Insieme per Cristina. Eravamo e siamo convinti che anche le persone in stato vegetativo o di minima coscienza (come è meglio dire sul piano scientifico), sono una ricchezza, perché provocano la società civile al rispetto e alla solidarietà verso le persone, anche in situazioni di estrema fragilità. La vicinanza e l’impegno per loro e le loro famiglie sono indicatori del grado di civiltà di una nazione.

Tutti questi impegni nell’ambito sociale e assistenziale non li ho vissuti in modo giustapposto o parallelo alla mia scelta di fondo, che è sempre rimasta il sacerdozio. Essi hanno arricchito di umanità i diversi ministeri che gli arcivescovi nella loro fiducia mi hanno assegnato nel mio lungo ministero: dall’Azione Cattolica alla Caritas, alla evangelizzazione nel campo della cultura e dell’università.
Questi impegni nel sociale sono stati una delle tre facce della piramide della mia vita. Le altre sono il ministero sacerdotale e il campo culturale.
Ho cercato di vivere i diversi impegni, nella società civile e nella Chiesa, in quella unità di valori e di ideali che vengono dal Signore Gesù Cristo, traendo dalle diverse esperienze ciò che può arricchire le persone, la società e la comunità cristiana. Di tutto ciò sono molto grato a Dio.
Ma in questo momento desidero esprimere un vivissimo ringraziamento a Lei, signor Sindaco, alla Giunta e a tutta la città di Bologna per il grande onore fattomi con l’attribuzione del Nettuno d’oro.
E per concludere vorrei dedicare il premio che mi viene conferito alle persone con le quali abbiamo lavorato insieme, nella Università, nella diocesi, in Casa Santa Chiara, e alle persone che il Signore mi ha fatto incontrare nella vita sacerdotale, le mie pecorelle, come qualcuno amorevolmente dice, perché da tutti ho ricevuto qualcosa.
Grazie”.

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 (Crediti: foto di Giorgio Bianchi per il Comune di Bologna).

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