A distanza di poco meno di sette anni dalla rotta dell’argine del Secchia avvenuta a San Matteo il 19 gennaio 2014, si è rotto domenica 6 dicembre intorno alle 6.00 l’argine del Panaro in Via Tronco. La serie di eventi idraulici avversi che da decenni, nonostante gli sforzi e gli interventi messi in campo a partire dalla realizzazione e rafforzamento delle casse di espansione e argini, purtroppo non si arresta.

L’Università di Modena e Reggio Emilia, attraverso i suoi ricercatori e docenti si è subito messa a disposizione della Protezione Civile per portare il proprio contributo tecnico-scientifico, oltre a voler testimoniare la vicinanza della comunità accademica alle numerose famiglie evacuate e per gli ingenti danni alle abitazioni e all’economia.

L’evento era stato in qualche modo preannunciato, insieme ad altri colleghi, dal Prof. Stefano Orlandini, Professore Ordinario di Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia al Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, (Orlandini et al., 2015, Evidence of an emerging levee failure mechanism causing disastrous floods in Italy, Water Resour. Res., 51, 7995–8011, doi: 10.1002/2015WR017426).

“Come si dice in questi casi, tuttavia, – afferma il Prof. Stefano Orlandini – l’emergenza è in corso e non è certo questo il momento di parlare di cause e responsabilità. D’accordo, parliamo dell’emergenza, sperando che poi qualcuno si interessi alle vere cause di questi disastri, quelle riportate nell’articolo menzionato sopra, quelle che hanno catturato più l’attenzione dei ricercatori (39 citazioni) che dei decisori (0 citazioni o quasi), quelle che di fatto continuano a produrre alluvioni disastrose per tutti questi anni nel nostro Paese”.

Riguardo alla gestione dell’emergenza, ricercatori/ricercatrici e docenti di Unimore sono stati impegnati fin da subito in Protezione Civile per simulare l’evoluzione dell’onda di esondazione causata dal collasso arginale.

“Tale simulazione – spiega il docente dell’Ateneo Stefano Orlandini – è uno strumento utile in queste circostanze per guidare le operazioni di soccorso a vantaggio di soccorritori e assistiti e anche per identificare le possibili azioni di controllo e di allarme”.

Il modello sviluppato da Unimore permette di descrivere l’evoluzione spazio-temporale dell’onda di esondazione causata dalla rotta arginale incorporando la descrizione della topografia del terreno e le leggi idrauliche di propagazione. Rispetto ad altri modelli proposti in letteratura, il modello di Unimore coglie in modo automatico il massimo dettaglio topografico fornito dai rilievi lidar (light detection and ranging) dove serve, mentre non lo usa dove non è richiesto a vantaggio dell’efficienza computazionale.

“Rispetto a modelli basati su descrizioni uniformi del dettaglio topografico, il modello di Unimore – continua il Prof. Stefano Orlandini – risulta più accurato ed affidabile, da un lato, e più efficiente, d’altro campo. In termini pratici significa che occorrono tempi di calcolo nell’ordine di 15 minuti per ottenere simulazioni significativamente più accurate di quelle ottenute da altri modelli in 15 ore”.

Questo è stato riconosciuto dalla Protezione Civile e dai Vigili del Fuoco di Modena, tanto che lo strumento innovativo sviluppato da Unimore ha catturato anche l’attenzione del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco di Roma.

“Come ricercatori/ricercatrici di Unimore – conclude il Prof. Stefano Orlandini – saremmo felici che il nostro lavoro potesse essere di aiuto ai Vigili del Fuoco, alla Protezione Civile Nazionale, ai Governi nazionali e locali e ai cittadini dell’intero territorio italiano, e non solo, per risolvere emergenze che, tristemente, si ripropongono ogni anno nel nostro Paese”.

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