Una fossa scavata in uno spazio preparato per l’occasione e il corpo di un bambino di due anni adagiato al suo interno: un Neandertal vissuto 41.000 anni fa. È lo scenario ricostruito da un gruppo internazionale di ricerca a La Ferrassie, in Francia: uno dei più famosi siti neandertaliani. I risultati – pubblicati su Scientific Reports – documentano per la prima volta che i Neandertal seppellivano i loro defunti. Non solo: i resti fossili esaminati appartengono al più recente Neandertal fino ad oggi datato in modo diretto.
Lo studio è stato realizzato da una squadra di 14 ricercatori provenienti da cinque paesi, guidata da Antoine Balzeau del CNRS e del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi (Francia) insieme ad Asier Gómez-Olivencia dell’Università dei Paesi Baschi (Spagna). Unica italiana del gruppo è la professoressa Sahra Talamo direttrice del nuovo laboratorio di radiocarbonio BRAVHO (Bologna Radiocarbon laboratory devoted to Human Evolution) presso l’Università di Bologna e dell’Istituto Max Planck di Antropologia Evolutiva (Germania), che ha realizzato le datazioni al radiocarbonio dei reperti, fondamentali per ricostruire il contesto temporale del ritrovamento.
“Si tratta di risultati sorprendenti, che aggiungono un nuovo importante tassello al puzzle per comprendere lo sviluppo di comportamenti complessi nei Neandertaliani”, dice Talamo. “Questo lavoro dimostra ancora una volta l’importanza della datazione diretta dei resti umani, che in questo caso è caduta anche nella parte della nuova curva di calibrazione IntCal20 che ha migliorato la risoluzione delle analisi al radiocarbonio”.
L’ipotesi che i Neandertal seppellissero i loro morti – con tutte le implicazioni simboliche e comportamentali che sono associate a questa pratica – è da tempo oggetto di un ampio dibattito. Molti ricercatori sostengono che solo l’Homo Sapiens praticasse attività funerarie. Ma questo è forse dovuto anche al fatto che molti dei resti di Neandertal meglio conservati sono stati ritrovati più di un secolo fa, quando le tecniche di scavo erano molto meno rigorose degli standard attuali: un elemento che ha reso a lungo impossibile convalidare le potenziali sepolture con criteri scientifici moderni.
Per questo il gruppo di ricerca è tornato sul famoso sito neandertaliano di La Ferrassie: un rifugio roccioso che si trova vicino ad una collina calcarea nel comune di Savignac de Miremont, nella regione francese della Dordogna. Qui all’inizio del secolo scorso vennero infatti ritrovati diversi scheletri di Neandertaliani adulti. E tra il 1970 e il 1973 emersero anche i resti di un bambino, identificato come La Ferrassie 8.
Gli studiosi hanno quindi messo in campo un’indagine multidisciplinare per documentare il contesto archeologico di La Ferrassie 8, svolgendo ricerche direttamente sul sito archeologico ma anche nelle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Les Eyzies e del Museo Nazionale di Storia Naturale a Parigi, oltre che negli archivi del Musée de l’Homme e dell’Institut de Paléontologie Humaine, sempre a Parigi.
In questo modo è stato possibile tracciare la distribuzione spaziale dei resti umani e degli oggetti archeologici ritrovati sia durante gli scavi effettuati nel 1968 e nel 1973 che nel corso di nuovi scavi realizzati nel 2014. Sono emersi così quasi cinquanta nuovi frammenti di fossili umani. Sono stati inoltre raccolti dati geocronologici grazie alla datazione al Carbonio 14 e alla datazione con luminescenza (OSL). E sono state effettuate analisi del DNA proteomico e antico, un’analisi tafonomica completa di tutti i resti ossei umani e della fauna associata, e analisi sul contesto geologico e stratigrafico del sito.
Collegando tutti i dati raccolti, i ricercatori hanno così dimostrato la presenza di una sepoltura scavata in uno strato sedimentario sterile, privo di altri oggetti archeologici, nella quale è stato depositato il corpo di un bambino di due anni. All’interno, un frammento di osso umano è stato identificato con una tecnica di spettrometria di massa chiamata ZooMS ed è stato associato ai Neandertal attraverso lo studio del suo DNA mitocondriale. Dopo essere stato datato con il metodo del radiocarbonio, gli è stata assegnata un’età compresa tra i 41.700 e i 40.800 anni fa.
“Si tratta di una datazione non solo più recente rispetto ai resti faunistici trovati nel livello archeologico soprastante, ma anche più recente dell’età ottenuta con il metodo della luminescenza per lo strato sedimentario che circonda il bambino”, commenta Antoine Balzeau. “È la prima volta in Europa che una simile quantità di dati scientifici permette di dimostrare che i Neandertal hanno effettivamente seppellito volontariamente uno dei loro defunti”.
L’età ottenuta per questo Neandertal è coerente con l’età dello strato archeologico da cui è emerso che nel sito di Ferrassie era presente l’industria del periodo Châtelperroniano, ed è coerente anche con altri fossili di Neandertaliani associati a questa cultura in altre parti dell’Europa occidentale. Inoltre, si tratta della datazione più recente ottenuta direttamente su un Neandertal utilizzando rigorose tecniche di pretrattamento con il radiocarbonio.
“Questi risultati mostrano quanto l’approccio multidisciplinare con cui è stata realizzata questa ricerca sia essenziale per far progredire la nostra comprensione del comportamento di Neandertal, comprese le pratiche funerarie”, dice in conclusione Asier Gómez-Olivencia.
Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports – rivista del gruppo Nature – con il titolo “Pluridisciplinary evidence for burial for the La Ferrassie 8 Neanderthal child”. A coordinare la ricerca sono stati Antoine Balzeau del CNRS e del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi (Francia) e Asier Gómez-Olivencia dell’Università dei Paesi Baschi (Spagna). Per l’Università di Bologna ha partecipato la professoressa Sahra Talamo, docente al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”, direttrice del nuovo laboratorio di radiocarbonio BRAVHO (Bologna Radiocarbon laboratory devoted to Human Evolution) e Principal Investigator del progetto di ricerca europeo RESOLUTION (ERC Starting Grant N. 803147). Il progetto è pensato per sviluppare set di dati di calibrazione al radiocarbonio ad alta risoluzione che permettano di ottenere datazioni in grado di fare luce sui periodi chiave della preistoria europea.