Dai migranti richiedenti asilo ai minori in regime di semilibertà di Chiaramonte Gulfi, dagli abitanti Rione Sanità di Napoli ai malati di Alzheimer di Trento: l’archeologia non è solo scavi e studi scientifici, ma può diventare anche un potente strumento di inclusione.
Esempi concreti e casi di successo di questo ruolo sociale dell’archeologia saranno presentati lunedì 28 novembre al Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna (dalle ore 10, nell’Aula Prodi – Piazza San Giovanni 2, Bologna) nel corso dell’appuntamento “Archeologia condivisa: la ricerca per tutti”.
Organizzato dalle professoresse dell’Alma Mater Isabella Baldini e Maria Teresa Guaitoli, l’evento sarà un’occasione per scoprire casi virtuosi di interazione tra ricerca archeologica e realtà sociali.
“Oggi l’archeologia non viene più intesa come una disciplina autoreferente, destinata solo agli specialisti”, spiegano le due organizzatrici. “Si pone invece in termini di reciprocità e di integrazione profonda tra soggetti diversi, ridefinendo così il suo ruolo e potenziando il suo impatto diretto nel contesto sociale”.
L’incontro sarà guidato da Arturo Zampaglione, giornalista e direttore del progetto “Vulci nel mondo”, e da Carla Sfameni dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR. Durante la giornata saranno presentate esperienze a livello nazionale e internazionale grazie alle quali comunità e gruppi sociali diversi hanno potuto collaborare ai risultati scientifici delle missioni di scavo archeologico, in un clima di forte coesione e di crescita civile. Senza dimenticare le esperienze di “archeologia partecipata” che hanno permesso di valorizzare i risultati delle indagini utilizzando strumenti digitali come forma di divulgazione e di crescita culturale allargata alla cittadinanza.