L’Open Innovation è un modello di innovazione sempre più praticato per mantenere e migliorare il proprio vantaggio competitivo. Come tale strategia è praticata nel territorio regionale è l’obiettivo del report “Open Innovation in Emilia-Romagna Mappatura Innovazione Aperta”, appena pubblicato da ART-ER, la società consortile della Regione nata per favorire la crescita sostenibile del territorio sviluppando innovazione, attrattività e internazionalizzazione, e realizzato in collaborazione con Oper.Lab, l’Osservatorio per l’Open Innovation del Dipartimento di Scienze aziendali dell’Università di Bologna, e la società di informazioni creditizie, business information e supporto decisionale Crif.

Il report ha l’obiettivo di produrre una fotografia e un’analisi approfondita delle pratiche di Open Innovation locali, concentrandosi sulle competenze esistenti, il livello di maturità delle imprese nell’ambito dell’open innovation, l’identificazione degli intermediari e dei loro programmi per potenziare il territorio, e infine una valutazione della coesione interna del sistema territoriale.  I tre partner hanno raccolto dati per tre diverse prospettive: ART-ER ha mappato i comportamenti delle imprese (MIA imprese), Oper.lab quelli degli intermediari di innovazione (MIA intermediari),  CRIF la relazione tra imprese innovative (incluse start-up) e imprese (MIA imprese innovative).

La prima parte del report rappresenta la prima mappatura di classificazione delle imprese, piccole, medie e grandi, che sul territorio regionale si occupano di Open Innovation, mostrando di avere la capacità di aprire i propri confini aziendali per accogliere nuovi flussi di conoscenza e che si concretizza nella ricerca di risorse esterne e collaborazioni con altre imprese, università, centri di ricerca, startup e intermediari dell’innovazione.

Fra le aziende mappate c’è chi ha avviato partecipazioni a consorzi pubblici e a reti collaborative per sviluppare una soluzione innovativa per il monitoraggio dell’aria attraverso sensori collocati sui droni come ha fatto AeroDron oppure collaborazioni con l’università per mettere a punto un sistema che monitori, all’interno di barili, le fasi di invecchiamento dell’aceto balsamico di Modena come sta sperimentando Ca Dal Non. O ancora chi ha lanciato una call per raccogliere idee da parte di startup innovative sul tema della sostenibilità e della trasformazione digitale come ha Electrolux, azienda con una sede anche in Emilia-Romagna, e chi, invece, ha avviato iniziative di venture capital e accelerazione di idee di impresa, creando un vero e proprio incubatore verticale nel settore dell’elettronica come quello creato da Techboard group. Ci sono, infine, imprese, per esempio Mavigex, che hanno optato per un modello di imprenditorialità interna secondo il quale sono gli stessi dipendenti a proporre cambiamenti e innovazioni.

 

I risultati di MIA

L’indagine, iniziata quattro anni fa, ha portato alla costruzione di un database che attualmente comprende 176 aziende, di cui circa il 70% PMI, che hanno restituito, tramite questionario, il proprio modus operandi. Il campione è composto prevalentemente da piccole e medie imprese (fino a 250 dipendenti) che assommano al 44% del totale. Le micro imprese sono pari al 26%. Il restante 30% del totale invece è composto da grandi imprese (da 251 fino ad oltre 1.000 dipendenti). Le 176 aziende si ripartiscono geograficamente, rappresentando tutte e 9 le province dell’Emilia-Romagna. La maggioranza ha sede nelle province di Bologna (36,6%), Modena (15,9%) e Reggio Emilia (13,6%).

Il campione è inoltre composto da imprese con diversi livelli di esperienza negli ambiti di specializzazione dalla Smart Specialization Strategy regionale (S3) e che corrispondono ai diversi Clust-ER dell’Emilia-Romagna. Ad essere maggiormente rappresentati sono i temi della meccatronica e motoristica, a cui appartiene il 29,5% delle imprese considerate; dell‘innovazione nei servizi, a cui afferisce il 22,2% delle aziende, e dell’agroalimentare (il 13,6% del campione), che hanno value chain preponderanti per il sistema economico regionale. La maggior parte delle imprese ha avviato progetti di Open Innovation da almeno due anni, con circa il 40% che ha dichiarato di essere impegnato in questa pratica da 2 a 5 anni, oltre a un ulteriore 18,8% di imprese con oltre 6 anni di esperienza. La dimensione aziendale non sembra influenzare significativamente il numero di anni di esperienza nell’ambito dell’Open Innovation. Circa il 12,5% delle imprese ha un’esperienza che supera i 10 anni in questo campo. Il modello di business più ampiamente adottato tra le aziende, con una percentuale del 62%, è il modello B2B, ovvero “business- to-business”. Questo modello commerciale implica che i clienti diretti delle aziende sono altre imprese, che possono operare nei settori industriali, commerciali o dei servizi. Il 24,4% delle aziende si identifica invece con il modello B2B2C, “business-to-business- to-consumer”. Questo modello caratterizza realtà con processi economici ibridi, in cui l’azienda produttrice funge anche da intermediario nei confronti dei clienti dei propri clienti industriali. Al terzo posto, con un 11,9% del campione, si colloca il modello B2C, “business-to- consumer”. Questo modello implica che vende direttamente il suo prodotto o servizio al consumatore finale, senza intermediari aziendali. Infine, solo il 2% delle aziende, composto da una grande impresa e una micro impresa, adotta il modello B2G, “business-to- government”. Si tratta di aziende che lavorano per la pubblica amministrazione, partecipando a bandi di gara e appalti per fornire beni o servizi.

L’ecosistema con il quale le aziende possono scambiare know-how è costituito in primo luogo dai clienti e dalla rete di fornitura, ma anche da centri di ricerca, università, startup e soggetti pubblici o privati in grado di facilitare i processi di trasferimento tecnologico. La gestione dell’Open Innovation nelle aziende della regione Emilia-Romagna avviene principalmente in modo informale, con il 62% del campione che afferma di non avere una strategia esplicita per l’Open Innovation documentata per iscritto. Anche se il 77,8% delle aziende dichiara di avere una carta dei valori aziendali, solo il 7,9% menziona espressamente l’Open Innovation tra le maggiori priorità. Questo può essere attribuito al fatto che le azioni di Open Innovation sono spesso condotte con procedure non standard, poiché il 55,7% dichiara di applicare procedure diverse di volta in volta. Solo il 42,9% delle imprese ha procedure formali standard per le attività di Innovazione Aperta. La maggior parte delle aziende (74,8%) gestisce i progetti di Open Innovation con un team composto da persone appartenenti a diverse unità, tra cui Ricerca&Sviluppo, Innovation, Tech, Product&Process development, Marketing, Sales and business development. In generale, le aziende dichiarano di non avere ancora un ruolo dedicato in organigramma per le attività di Open Innovation, poiché solo il 25,2% ha un manager dell’innovazione. Nei ruoli maggiormente citati come referenti per le attività di Open Innovation emergono quelli apicali legati al management aziendale. Solo una percentuale marginale del 6,8% delle imprese afferma di avere a disposizione un budget specifico e indipendente per l’Open Innovation. La percentuale più ricorrente di budget R&D destinata all’Open Innovation rientra nel range dell’1-5%, segnalato dal 35,2% dei partecipanti con un budget di 500.000 euro. Ciò suggerisce che, in media, è disponibile una somma annua tra i 5.000 e i 25.000 euro per l’Open Innovation. Tuttavia, i budget, per lo più derivanti da risorse interne anziché da progetti finanziati, non sono strutturati in modo da agevolare una contabilità analitica e, di conseguenza, la valutazione degli impatti.

L’indagine ha permesso, inoltre, di mappare come le imprese utilizzano modelli di Open Innovation sotto diversi punti di vista tra cui: Cultura, Attività business, Risorse ed Esperienze. La sezione Cultura è incentrata sui processi che l’azienda mette in campo per gestire le attività di Open Innovation, a cui è dedicata una sezione separata contenente 19 tipi di attività suddivise in attività inbound e outbound e monitorate sia dal punto di vista dell’intensità che dell’impatto. Le sezioni Business e Risorse hanno l’obiettivo di indagare l’entità del budget dedicato all’Open Innovation e le caratteristiche dei gruppi di lavoro che si occupano quotidianamente di questi temi all’interno dell’azienda mentre la sezione Esperienze raccoglie casi di studio legati all’Open Innovation che in Emilia- Romagna sono considerati fondamentali.

 

Il contesto

L’Emilia-Romagna è un territorio popolato di laboratori, incubatori, startup, imprese, tecnopoli e altri luoghi dell’innovazione che offrono diverse possibilità per chi è interessato a portare avanti progetti collaborativi. In particolare, la ricerca identifica 164 intermediari attivi nella regione, appartenenti a network intra-regionali di innovazione: Rete Alta Tecnologia, Rete dei Tecnopoli, Rete EmiliaRomagnaStartup e Rete in-ER. Ogni intermediario eroga programmi di innovazione come siti web e interviste condotte ad hoc.

Tra gli intermediari, i Laboratori di Ricerca Industriale (92) sono la categoria più numerosa: essi rappresentano il 55,7% della popolazione totale seguiti dagli Incubatori (37) rispecchianti il 22,4% del totale. Complessivamente, queste due tipologie coprono il 78.2% del dataset a disposizione. Gli intermediari sono distribuiti geograficamente in tutte e nove le province dell’Emilia-Romagna. La provincia di Bologna, con 58 intermediari (35,1% della popolazione), ha la più alta concentrazione, seguita da quella di Modena con 31 Intermediari (18,8%). Seguono Ravenna con 8 intermediari (4.8% del totale) e Rimini con 6 (3,6%).

 

I programmi di Open Innovation in Emilia-Romagna

A febbraio 2024, l’offerta regionale di programmi di Open Innovation mappati registra una popolazione complessiva di 499 fra servizi e attività. Le categorie identificate sono tredici:

  • Coaching (affiancamento),
  • Competizione per idee e startup,
  • Co-Progettazione,
  • Incubazione Aziendale e Corporate Venturing,
  • Supporto per l ‘outsourcing di servizi,
  • Facilitazione tra Startup e Corporate
  • Incubazione e Accelerazione di imprese,
  • Proprietà intellettuale e vendita di brevetti,
  • Networking
  • Servizi di Ricerca e Sviluppo Interni e Tech-Scouting
  • Servizi di Ricerca e Sviluppo Esterni
  • Ricerca di Startup
  • Studio per la costituzione ad hoc di startup o spin-off in risposta a bisogni identificati

Bologna è la provincia che eroga il maggior numero di servizi, con 216 programmi, rappresentando il 43,2% del totale. Seguono le province di Modena (96 programmi), Parma (44) e Reggio Emilia (38). La provincia meno rappresentata è Rimini, con 10 servizi erogati.

 

La collaborazione fra imprese corporate e imprese innovative

Partendo dai dati disponibili a livello nazionale, si osserva un trend crescente fino al 2022 del numero di startup innovative, con un lieve decremento nel 2023. A livello nazionale, il numero di startup innovative si è attestato a circa 14.000 unità, di cui 1.000 localizzate in Emilia-Romagna. Parallelamente, si registra un costante incremento delle PMI innovative, che raggiungono un totale di 2.769 unità: la regione Emilia-Romagna si conferma come una delle regioni più attive nel panorama nazionale per questa tipologia di imprese, raggiungendo quota 224 unità.  A livello di distribuzione geografica, le start- up e PMI innovative in E-R si concentrano soprattutto nella provincia di Bologna, seguita da Modena, Reggio Emilia e Parma.

 

Gli investimenti

Gli investimenti nel capitale di rischio delle società innovative in Italia nel 2023 hanno raggiunto 1,048 miliardi di euro, distribuiti su 263 operazioni. Tale dato riflette una netta contrazione (49,6%) rispetto all’anno precedente, dopo il record del 2022 in cui era stata raggiunta la quota di 2 miliardi di investimenti, in sintonia con quanto verificatosi anche negli altri paesi d’Europa. La contrazione del volume degli investimenti e del numero complessivo dell’operazione si registra sulla gran parte delle regioni italiane.

L’Emilia-Romagna è in controtendenza con un aumento degli investimenti, che raggiungono quota 30 milioni di euro (dai 25 milioni del 2022), e degli affari, che si attestano su 18 operazioni (contro le 11 del 2022). L’analisi dei flussi degli investimenti in startup innovative ci restituisce una fotografia dinamica, che si concentra sui movimenti negli investimenti in capitale di rischio di startup innovative. Sono state identificate 503 startup e PMI innovative (su 1224 totali) che hanno ricevuto investimenti da parte di corporate e investitori professionali. Delle imprese innovative che hanno ricevuto investimenti in capitale di rischio, 376 sono startup e 127 sono PMI innovative.
Gli investimenti totali sono 1.236, con una media di oltre 2 investitori distribuiti su 503 imprese innovative in E-R. I dati indicano che circa il 10% delle quote di partecipazione (9.137) delle imprese innovative proviene da società corporate (929), mentre la maggior parte degli investimenti è realizzata dai cosiddetti Founder-Family- Friends (oltre l’80%). Gli investimenti da parte di investitori specializzati rappresentano il 3% del totale, pari a 309. Gli investimenti in capitale di rischio, ammontanti a 1.236, sono notevolmente concentrati sulle imprese con sede a Bologna, rappresentando oltre il 40% del totale. Di fatto, su un totale di 486 imprese innovative nella provincia, ben 183 hanno ricevuto investimenti da parte di Corporate Venture Capital o investitori specializzati. Questo dato riflette un elevato livello di fiducia e interesse da parte degli investitori nelle imprese innovative bolognesi, evidenziando la posizione prominente che la città occupa nell’ecosistema imprenditoriale regionale. In particolare, le imprese italiane che investono in innovazione in Emilia-Romagna sono 552 e le loro sedi sono soprattutto in Emilia-Romagna (433) e Lombardia.

In Emilia-Romagna l’innovazione ecosistemica è, in definitiva, un processo ben radicato. Nei contributi raccolti fra le imprese mappate che praticano l’Open Innovation sono emerse due caratteristiche fondamentali: la scoperta che l’innovazione aperta possa provenire anche “dai luoghi che meno ti aspetti” e l’importanza di fare ecosistema perché è necessario  “mettersi, con umiltà, in ascolto”, condividendo esperienze in una logica di scambio e contaminazione “per costruire qualcosa di più grande, assieme.

 

Per approfondire, scarica qui il Report MIA

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