La peste suina africana minaccia il nostro settore agroalimentare. Nei mesi scorsi anche l’Emilia-Romagna ha dovuto registrare casi della peste suina africana, una malattia altamente contagiosa e letale che colpisce cinghiali e suini ma è totalmente innocua per l’uomo e per gli altri animali. Una malattia che rischia di dare un colpo notevole al nostro settore dell’agroalimentare, una delle colonne della nostra economia fortemente legata alla agricoltura, all’esportazione di prodotti enogastronomici di pregio che vedono nella carne suina uno degli elementi fondamentali.

Non ci sono al momento casi registrati nel comune di Correggio né in provincia di Reggio Emilia, questo anche grazie al grande lavoro di prevenzione e contenimento da parte della Regione Emilia-Romagna e alla collaborazione tra istituzioni, allevatori e privati cittadini. E grazie al lavoro degli ATC, gli ambiti territoriali di caccia, che controllano i cinghiali selvatici, vettori del contagio.

La collaborazione tra istituzioni, mondo agricolo e cittadini è fondamentale in una situazione come quella attuale. Se, da un lato, la Regione ha realizzato dei bandi mirati agli allevatori per interventi pensati per aumentare la sicurezza degli allevamenti, dall’altro lato la collaborazione dei cittadini è fondamentale.

Come si legge sul sito della Regione Emilia-Romagna, chiunque camminando in aree rurali si imbattesse in una carcassa di cinghiale (quindi un cinghiale morto o resti di ossa), deve contattare immediatamente i servizi Veterinari dell’Azienda unità sanitaria locale, al numero unico regionale 051.609.2124, memorizzare la posizione geografica sul cellulare e possibilmente scattare una foto. È fatto divieto di abbandonare nell’ambiente avanzi o rifiuti alimentari, specialmente se contenenti carni di suino o cinghiale o salumi che possono essere veicolo di infezione per gli altri animali.

Per quanto riguarda invece gli allevatori, è fondamentale adottare ogni misura per evitare l’introduzione della malattia nell’allevamento.

Vanno rispettate tutte le misure di biosicurezza che il Ministero della Salute ha disposto per tutti gli allevamenti, anche quelli familiari, tra le quali: evitare il contatto diretto tra i suini e i salvatici; ricordare il divieto di somministrare carni o prodotti a base di carne di animali infetti: scarti di cucina, pantano contenente residui di alimenti contaminati; obbligo di cambiare calzature e vestiti prima di entrare in contatto con gli animali allevati; divieto di  introdurre nell’allevamento oggetti, attrezzature o mezzi che potrebbero essere contaminati.

Qualsiasi caso sospetto di mortalità va segnalato al Servizio veterinario dell’Azienda USL competente. Come detto, i sintomi riguardano esclusivamente suini e cinghiali dal momento che questa patologia non colpisce né l’uomo né altri animali.

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